Il 3D di Opopomoz
Di Nadia Andreini
L’unione di animazione 2D e personaggi 3D nell’ultimo film di Enzo D’Alò

«L’integrazione tra 3D e 2D non vale solamente dal punto di vista di costruzione dell’immagine, ma anche dal punto di vista dell’animazione Il nostro mostriciattolo parlante realizzato in 3D grazie alla preziosa collaborazione della fiorentina LCD doveva essere animato con la stessa logica con cui era stato animato il materiale su carta. A questo è servito moltissimo l’aiuto di Valter Cavazzuti che ha passato le giornate seduto accanto a Giacomo Novara a spiegare come doveva far recitare il personaggio 3D, come utilizzare il labiale per la maggiore efficacia dell’integrazione nell’animazione finale»: con queste parole Enzo D’Alò ha introdotto il backstage della parte 3D di Opopomoz presentato al Future Film Festival.
Creare un personaggio in 3D Computer Animation in grado di coniugare l’integrazione con il 2D con le peculiarità di un mostro che per ragioni di copione è stato realizzato totalmente senza far ricorso all’ossatura, per meglio sottolineare il suo legame con l’infernale ambiente nel quale vive, è stata certamente una gratificante sfida per LCD. Ampiamente è stato necessario fare ricorso ad accorgimenti di post-produzione, ben pianificati fin dall’inizio, al fine di agire su coloritura, luci, inquadrature e tutti quegli aspetti volti a “smaterializzare” quanto più possibile la natura tridimensionale del mostro infernale. Nel MyMEDIA CD .02, Giacomo Novara illustra in dettaglio l’ampia gamma di accorgimenti utilizzati per la modellazione, l’animazione, il rendering e l’integrazione con i personaggi 2D.
«E’ stata una parte che ci ha portato via più o meno un anno di lavoro. – dichiara il regista – E’ stata una delle ultime parti ad essere terminata, soprattutto perché proprio quelle da integrare sono state tra le ultime animazioni 2D ad essere realizzate; proprio perché volevamo essere tranquilli e sicuri che con il metodo che avevamo sviluppato si evitassero fastidiosi “flickaggi” tra animazione 3D e 2D».
Naturalmente anche i tempi di rendering hanno giocato, malgrado le potenti architetture informatiche di LCD, un certo fattore nel tempo di produzione: quando si intendono ottenere scene impeccabili dal punto di vista dell’integrazione con il disegno non è raro che si debba reiterare il procedimento svariate volte per apportare allo shot anche lievi modifiche. Tuttavia, come ben ha evidenziato lo stesso D’Alò, spesso il gioco vale la candela, ed i vantaggi della computer graphics possono ben indurre ad un dichiarato ottimismo: «Stiamo proseguendo, giorno dopo giorno, verso processori sempre più veloci e memorie sempre più elevate. Quindi sappiamo che tutti i tempi che adesso dobbiamo aspettare si ridurranno. Per il prossimo film, probabilmente, avremo la possibilità di inventare ancora più cose mettendoci lo stesso tempo. L’importante è che si sviluppi un ingegno umano in grado di dire alle macchine cosa devono fare. Nel nostro caso, ad esempio, già a partire dallo storyboard avevamo previsto queste scene, anche perché alcune di esse hanno movimenti di macchina complessi».
Continuando nel filone ottimistico che contraddistingue la sua spumeggiante presenza, D’Alò evidenzia il fatto che il mix di tecnologia e di ingegno, non può che avere esito positivo se nasce sotto l’auspicio di una buona storia: «In genere quello che noi cerchiamo di fare è di dare la priorità assoluta alla storia, alla sceneggiatura: non chiederci prima come la faremo. Poi si trovano i meccanismi, i modi per raccontarla. Ne La Gabbianella e il Gatto per esempio avevamo il problema che i gatti dovevano comunicare con la bambina, oppure di distinguere il sogno dalla realtà, in quel caso siamo ricorsi ad una grafica completamente diversa. Ogni volta la scommessa è intanto di concepire una bella storia, che emozioni noi per primi. Poi quando abbiamo la storia, cerchiamo di non lasciarci condizionare. Non diciamo “No, questo non si può fare”… troviamo un modo di farlo. Spesso, lavorando di immaginazione si trova sempre il modo di raccontare una storia. Se vi ricordate il grande maestro Hitchcock, riusciva a raccontare le cose praticamente senza farle vedere e trasmettendoci comunque tutte le emozioni di quello che stava raccontando»
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