Trame pittoriche
Di Ilaria Moretti
L’opera della giovanissima Elisabetta Brignoli
Elisabetta Brignoli è nata a Bergamo nel 1984. Si laurea presso il Politecnico di Milano, specializzandosi nell’indirizzo di disegno industriale settore moda con il massimo dei voti. Dopo numerosi concorsi internazionali di fotografia, pittura, arte e moda, continua la sua ricerca artistica presso la Galleria d’Arte Wunderkammer di Bergamo. Filo conduttore della sua ricerca è l’indagine del segno che segue una via personalissima e raffinata, mai ripetitiva, nello scontro tra l’estetica visuale dell’abito e l’inclinazione melanconica della vita. Al centro del suo percorso è l’unione armonica del linguaggio moda – inteso nella più ampia accezione di abito, scarpa, accessorio prezioso – e la crisi quotidiana del soggetto, il vuoto e il silenzio dell’io, la gioia trattenuta, gli attimi di rimpianto. Le sue opere seguono il ritmo del tempo, hanno la straordinaria capacità di mutarsi e di rinnovarsi. Come nei momenti inconclusi del quotidiano, così la sua ricerca, in perpetuo divenire, pone interrogativi continui. La capacità di risoluzione è nel linguaggio che si raffina tra l’artista e lo spettatore, una necessitata presenza che affonda le radici nel misterico dell’oggi,che trova nella comunicazione muta tra soggetti il senso di tutto il suo pensiero.
Ascolta
Olio su tela – 150x110cm
Ecco, questa donna, incatenata a se stessa, senza la reale possibilità di parlare/baciare/respirare, di esprimere la sua verità, comunica come può: il trucco rovesciato e l’assenza d’abito, gli occhi liquidi che si confondono con la porcellana della pelle. Lei è chiusa nella campana di vetro, ma è una gabbia tetra auto-imposta: nessuno le ha fermato la bocca con un bavero, un pezzo di scotch, una mano che le impedisce la parola. si auto-esclude in un mutismo terribile, ma trova un’altra via alla comunicazione: lo sguardo. Gli occhi non sempre si fanno portatori di veridicità, al contrario di ciò che si dice: le lacrime mentono, solo le pupille sono sincere. Non inganna l’espressione, non c’è attore, criminale abbastanza abile dall’eludere la soggettività, l’intensità di uno sguardo.
Questo quadro porta in sé una grande verità: le possibilità d’arrivare all’altro non sempre sono dirette, talvolta per ostacoli che il soggetto si crea, talvolta perché impossibilitati da uno spinoso blocco fisico (timidezze, ignoranza, scarsa stima), ma che il cuore della vita, l’emozione – la fiammella – trova sempre un modo, una crepa nel terreno (“Il varco che non era necessario” scriveva Montale) per fuoriuscire.
Come è vero che la realtà, il tutto vero, prima o poi esplode dirompente.
Elisabetta Brignoli è riuscita nell’intento difficile di rappresentare la strada verso la comunicazione.
Il quadro porta titolo Ascolta. Una voce che rompe il buio, da dove venga poi, quello è il mistero. Forse l’abbiamo udita, forse qualcuno l’ha pronunciata realmente. Forse era un sogno, abbiamo soltanto immaginato e l’alba ci riporterà nelle bassezze zitte che ci corrispondono troppo spesso. Chi lo sa. Compito dell’uomo è davvero la ricerca del reale. Con ogni mezzo, tenacemente.
Il tradimento di cera
Pastello su tavola – 120x60cm
Lei non c’è, esiste parzialmente. E’ uno scorcio di verità il suo, ma attraversato da una frattura nel viso, non si percepisce l’espressione,la postura del corpo richiama un senso di impotenza. Come nel ricevere una cattiva notizia, uno spavento, s’accusa il colpo nello stomaco, nella zona del plesso solare. La testa cede la sua postura eretta, la schiena s’abbandona.
Dietro? Nulla.
Il mondo chiaro dove lei è momentaneamente inscritta sta bruciando, è già bruciato. Le linee scure che l’attraversano, di sangue raffermo? Di buio? Di inconosciuto?
Sul lato posteriore, nella zona più a sinistra, la struttura geometrica del proprio paese, il richiamo all’esistenza reale, al mondo che esiste, che si struttura, ma che nell’istante della rappresentazione non appartiene più. Con il proprio microcosmo l’uomo si crede in un “a parte” che esula dal resto, dal mondo vero, quello che fa da contorno. E’ lo scarto tra la sensazione intima che si prova e la proiezione nel fuori. In questi casi il mondo sta solo nel chiaro, perché la notizia o il dolore o la sorpresa non sono in grado di comunicare con il resto. Il dragone è la nobiltà ancestrale e terrena delle proprie origini. Si dovrebbe riuscire a eliminare lo scarto, è il solo modo per ripartire, per far impedire alle scaglie impazzite del proprio passato di annichilire i giorni futuri.
Perché la cera? Perché ha il prodigio di bruciare (come l’immagine di lei) ma la speranza di rinascere sotto una forma nuova, colata, bollente; che non si getta via, che può trovare una nuova strada in cui avere senso. Tradire non necessariamente per un uomo, ma anche se stessi: il tradimento è la debolezza e la fragilità, la deviazione ad una giusta causa. Possiamo recuperare i frammenti (i tasselli della sua figura, assemblati, tenuti insieme eppure lì lì per scollarsi) e trovare un punto di comunione con l’oro e il nero, croce e delizia dell’esistenza.
C’è tutto un pezzo di mondo: la fragilità e il suo mistero.
Lo specchio
Fotografia digitale
La fotografia che cattura l’istante dell’individuo, diviene qui uno straniamento da incubo. Una bambola di porcellana scartata dal giocattolaio, incattivita dalla polvere di un vecchio magazzino che l’ha vista abbandonata a se stessa. La bambola, giocattolo sicuro dell’infanzia, assume lo sguardo storto dei sogni peggiori. È l’umanità abbandonata a se stessa, il volto scavato e impenetrabile della solitudine. La fotografia va oltre se stessa: se il reale è l’oggetto da cui trae nutrimento, troviamo qui la necessità di uno sguardo più lungo, che si profila attraverso lo spirito interiore dell’uomo. Come il passatempo dei ricchi signori ottocenteschi era passeggiare per le strade osservando il mondo muoversi o rallentare, così la macchina fotografica diviene uno strumento analitico di presa sulla vita. Nelle meschinità del quotidiano possiamo altresì scorgere una purezza antica. Gli abiti della donna bambola richiamano alle corolle delle dalie innocenti, ma la linea cupa delle labbra, la perdita della vista, gli occhi impossibili, sottolineano l’alienazione, la distanza.
Il potere evocato dall’immagine è come un gioco che si faceva da bambini: guardare una nuvola per prolungare in lei una forma inventata. Osservare gli occhi dell’amico per scoprirne i sentimenti. Così è l’obiettivo: fotografare non solo la vita, ma anche la malcelata esistenza che gli spettri-uomini portano nelle spalle e sugli occhi. Difficile contraddizione del nostro oggi.