Il tema è caldo. Pure troppo
Di Stefano Adami
Intervista a Carlo Massarini
Dall’ultimo numero di MyMedia (“Futuro nativo”), lo stereotipo dell’adolescente smanettone è sulla ribalta sia nelle discussioni on-line che nelle pagine di cronaca.
Abbandoniamo per una volta gli scenari tracciati da istituti di ricerca e le prese di posizione dei cosiddetti guru per ragionare con chi, da più di vent’anni, rivolge uno sguardo sempre curioso e mai supponente ai fenomeni digitali: Carlo Massarini.
L’antefatto: Forum Comunicazione 2009 all’EUR, Roma.
Carlo, chiamato a moderare uno dei panel di discussione, introdusse domande e riflessioni affidandosi alla proiezione di Did You Know 2.0 (il video creato con dati e contenuti del The Economist).
Sul palco, durante la proiezione, Carlo non resisteva al sound di Right here, right now, usato nel montaggio. (ma questa è un’altra storia, n.d.r.)
Uno dei relatori poi, probabilmente un amico di vecchia data, interpretò il desiderio di tanti in sala e lo costrinse ad uscire dal ruolo di anchor-man con un’inversione dei ruoli.
E secondo te, Carlo, come sarà il futuro?
Dopo un millisecondo di sorpresa la risposta convinta fu: «Meticcio. Fare previsioni non è il mio mestiere, ma secondo me il futuro sarà “misto”».
Questo lo “stream” che ci ha portato qui: social network e curiosità reciproca hanno fatto il resto.
Appollaiati sugli sgabelli usati per la registrazione di Mr. Fantasy R&R, un qualunque, piovoso lunedì milanese, non usiamo tecnologia.
Moleskine alla mano, si parla e si scrive.
Da sempre sei attento ai fenomeni on-line. Ora anche ai social network. Il tempo medio speso su queste piattaforme è in costante aumento. Al Forum 2009 osservasti: «Sì, ma per fare che cosa?». Hai trovato una risposta?
Il tempo di cui posso parlare è il mio, quindi parlo per me. Dei social network mi interessa soprattutto la possibilità di sperimentazione. Se non hai particolari mire professionali, è come stare sulla moto: ti ci siedi e giri. Ne fai un territorio da esplorare. E ti fai delle domande: «Chi c’e’ dall’altra parte? Cosa piace? In che maniera ci si relaziona?»
Per farlo uso due tipi di materiali. Il primo, ovviamente, è la musica. La condivido come se fossi in una radio. Molti la “postano” senza accompagnarla da alcun commento o considerazione. Credo invece che a questa possibilità di condividere la musica debba essere data una personalità. Altrimenti diventiamo dei semplici replicatori. Con la musica ottengo una risposta molto interessante. Alcuni usano la mia visibilità per altri scopi. Si va dal caso del leoncino in Australia all’intervento di Gianni Minà. Spesso si scatena la lotta, ma fino ad ora mi è bastato prestare un po’ di attenzione. E poi tutto scorre in poco tempo.
Poi cerco di stare in contatto con la realtà. Recentemente sulla mia bacheca di Facebook è esploso un dibattito molto vivace. Più di 200 post, alcuni lunghi anche una cartella, sul tentativo di appropriazione del rock da parte di diverse culture e schieramenti politici. Queste sono discussioni che non si potrebbero fare in radio. Un social network, insomma, è quello che si vuole che sia.
Quindi, per quanto mi riguarda, l’investimento sui social è una tappa intermedia per capire come realizzare l’interattività in qualcosa di più specifico. Vedremo.
In campo mediale, i nativi dispongono di strumenti e competenze prima impensabili. In campo musicale, oltre alla famigerata “disintermediazione”, la “coda lunga” di Chris Anderson, pensi che si aprano anche nuove opportunità per fare musica?
Ancora una volta, come direbbe Mc Luhan, “ il medium è il messaggio”.
Ciò che è successo nella fruizione è abbastanza scontato. Molto interessante, invece, la parte propositiva, attiva.
MySpace, per citare il più conosciuto, è diventato strumento di autopromozione e diffusione.
Ovviamente, alla base di tutto restano la capacità ed il valore artistico del musicista.
Un tempo, però, lo “start” era dettato dalle case discografiche e dagli uffici stampa. Ora può essere “artigianale”. Solo con Internet ed i social network sono diventati possibili fenomeni come quello degli Artic monkeys.
Nel mare di questi indipendenti c’è davvero qualcosa di nuovo e di valido.
In effetti, in questo campo, può diventare rilevante la differenza fra nativi e non.
La nostra generazione ha la consapevolezza del passato ed ha la visione per provare ad immaginare i percorsi futuri. La partita della comunicazione è più complessa del puro fatto tecnologico. Loro hanno gli strumenti e li usano benissimo.
E la creatività in altri campi? Nelle arti figurative, nel design …
Il mio campo è la musica ma credo che il meccanismo di in fondo rimanga lo stesso. Quel che conta è aver capito il concetto di “relazione”. Sono convinto che queste nuove forme di contatto e di espressione, coi risultati che producono, siano destinate a permanere.
Poi mi sembra che la distinzione fra reale e virtuale stia scemando. Abbiamo sistematicamente le prove di quanto possa essere forte il potere e la suggestione di un rapporto virtuale. A mio avviso questo aspetto è ancora sottovalutato. Sia chiaro: i meccanismi umani restano gli stessi. Non possiamo negare però che questi nuovi strumenti sono potentissimi “estrattori”, delle espressioni come delle emozioni.
Carlo Massarini è anche genitore. Che consigli daresti ai “baby boomer” per il rapporto coi figli nativi?
La prima cosa da fare è interessarsi degli strumenti e acquisire un minimo di controllo della situazione.
Proprio in questi giorni sono entrato in contatto con una madre quarantenne entrata su Facebook con questo unico intento, per accordo esplicito con le figlie.
Anche su questi temi, le diverse predisposizioni alla tecnologia hanno ampliato il gap.
Il figlio ha maggiori possibilità di crearsi un’area franca e oggi, con una carta di credito, si può fare veramente di tutto.
Come un tempo, il genitore deve sapere dove sono i pericoli, conoscere i quartieri della città, i diversi livelli di pericolosità delle droghe e, ora, anche questi nuovi “ambienti”.
Al Forum della comunicazione, un anno fa, hai detto che il futuro sarà “meticcio”. Lo pensi ancora?
Sì, assolutamente. Il campo della musica ne è la dimostrazione. Quando culture diverse si incontrano e si mischiano, tutti ne ricevono dei benefici. Il futuro sarà di chi è più aperto di altri. Non dei professionisti troppo “verticali” ma di chi ha i linguaggi e la volontà di interagire ad ampio spettro. Internet, in questo, facilita.
Se questo è vero, dobbiamo pensare a chi non è – o non può essere – on-line.
Si parla di nativi digitali e di quanto siano veloci ad usare qualunque tipo di tastiera, ma si trascura il fatto che ancora oggi si nasce e si vive in contesti letteralmente tagliati fuori dal mondo, anche in Italia.
Dopo il libro, da questi studi torni in TV con “Mr. Fantasy Reload & Rewind”. Raccontaci.
E’ semplice. Non vedevo un programma di musica come lo avrei fatto io. Mi auguro che qualcuno prima o poi lo faccia. Scherzi a parte: la musica potrebbe essere vissuta e “usata” meglio. Siamo qui perché ci crediamo ancora.
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Riferimenti e risorse
Marshall Mc Luhan, Understanding Media ,1964 (it. Gli strumenti del comunicare, 1967)
Karl Fisch, Scott McLeod and XPlane Did You Know?/Shift Happens –http://shifthappens.wikispaces.com/