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Osservatorio di Cultura Digitale
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Alle radici di un grande successo

Giugno 11, 2011 By: admin2 Category: Articoli

Alle radici di un grande successo

Intervista con TPO

Le vostre nuove produzioni teatrali sono state recentemente annoverate tra le espressioni più efficaci degli “ambienti sensibili”, ambienti cioè a matrice digitale che rappresentano attraverso l’interazione con le nuove tecnologie un forte impatto ludico emotivo. Quali sono le difficoltà di realizzare queste forme immersive ad alta valenza pedagogica per i più giovani?
Gi ambienti interattivi del TPO sono innanzitutto delle scenografie teatrali, devono quindi essere interessanti esteticamente, accessibili ad un pubblico di bambini e adulti, essere in grado di comunicare senza creare barriere di lingua o cultura ed infine devono essere facili da montare e trasportare; la complessità del nostro lavoro sta quindi nel creare progetti interessanti tenendo conto di questi limiti. In ognuno dei nostri allestimenti dedichiamo molto tempo alla progettazione del lavoro grafico e sonoro perché la drammaturgia dei nostri spettacoli non si basa su testi ma su di uno storyboard visivo. E’ un lavoro, questo, simile alla sceneggiatura cinematografica: occorre definire con una certa chiarezza come si succedono gli eventi e poi creare scene interattive interessanti sotto il profilo teatrale e sotto il profilo pedagogico. Procediamo, quindi, partendo da un contenuto visivo che nel nostro caso è spesso composto da filmati o animazioni sia in 2D che in 3D; poi, all’interno delle singole scene, cerchiamo di dare un forma artistica o teatrale al rapporto tra immagini, suoni e movimento. Alla fine di questo processo creiamo delle coreografie interpretate da danzatori oppure degli ambienti sensibili nei quali i bambini possano giocare oppure creare delle proprie composizioni.
A partire dal 2002 TPO ha avviato una ricerca decisamente all’avanguardia per quanto concerne la possibilità di interagire con l’ambiente scenico attraverso proiezioni dall’alto su un tappeto dotato di sensori a pressione, poi la produzione si è ulteriormente emancipata costellando lo spazio scenico di sensori di ogni tipo, incluse le tecnologie di motion tracking, ampliando a dismisura le possibilità di interazione/esplorazione. Dal punto di vista delle possibilità di adattamento della regia e della drammaturgia alle nuove possibilità espressive che cosa è cambiato nella vostra progettazione?
Già l’utilizzo di un tappeto interattivo in grado di attivare suoni e immagini con la sola pressione del piede o del corpo, ha rappresentato un enorme cambiamento nella relazione con lo spazio scenico. Per la prima volta abbiamo potuto sperimentare la possibilità di suonare o creare immagini semplicemente con il movimento e questo ha un effetto teatrale magico. L’uso di altri sensori, videocamere, microfoni etc… ha ampliato ulteriormente queste possibilità perfezionando e raffinando la relazione tra il corpo e lo spazio. Le telecamere infatti possono monitorare non solo la superficie piatta ma anche il volume dello spazio scenico, quindi il movimento o la voce di uno più attori possono essere monitorati con una precisione maggiore. Una grande evoluzione tecnica è stata possibile grazie all’utilizzo del software MaxMsp con Jitter che consente un controllo simultaneo di più tipologie di sensori collegati a più videoproiettori o più sorgenti sonore. Con Max/Msp si possono anche generare immagini e suoni attribuendo dei parametri variabili al movimento dei performer o del pubblico e questo aspetto, considerando il progressivo aumento della potenza grafica dei computer, rende estremamente vario il campo delle possibilità creative,
Talvolta, faccio espresso riferimento ad uno spettacolo come Play Please!, si avverte come una sorta di emancipazione rispetto alla necessità di una narrazione come quella a forte impatto emotivo che ha caratterizzato ogni ciclo di ricerca nell’ambito del teatro per ragazzi delle vostre produzioni. Che riscontro ha avuto nel pubblico?
Play Please! è una produzione recente che ancora non ha circuitato abbastanza per poter dare un giudizio definitivo sull’esito del progetto. Certamente durante il mese di repliche fatte a Prato nel nostro spazio teatrale, il pubblico era realmente coinvolto ed entusiasta della proposta musicale ideata dalla compagnia. Il successo di Play Please! sta nella proposta pedagogica: tutti, ma proprio tutti possono suonare, anzi hanno il diritto di suonare. Rendere la musica, che di per sé è un linguaggio difficile, accessibile a tutti è stato un traguardo raggiunto grazie alle tecnologie digitali. In pratica il pubblico può produrre o modulare suoni grazie a fasci di luce che funzionano come zone sensibili. In questo progetto un grande lavoro è stato condotto da Spartaco Cortesi (sound designer) nella composizione di librerie sonore, da Elsa Mersi (digital designer) nell’aver creato un concept visivo astratto e da Rossano Monti (computer engineering) che ne ha curato la programmazione.
So che andrete avanti su questa strada proponendo una vera e propria installazione dentro quattro container a Manchester. Prevedete ulteriori sviluppi?
 L’installazione che stiamo preparando per Manchester sarà il vero test internazionale di Play Please!, c’è molta attesa per questo progetto che incuriosisce molto il pubblico inglese e c’è molta attesa anche da parte nostra visto che agiremo all’interno di uno spazio creato ad hoc per la compagnia. Un ulteriore sviluppo è già in programma e parte da una proposta nata in collaborazione con il coreografo inglese Tom Dale. Con Tom Dale ed altre due danzatrici il TPO creerà un nuovo spettacolo che ha già in programma un tour di un mese nel Regno Unito, a partire dal Juice Festival di Newcastle il prossimo ottobre (2011).
Grande protagonista delle vostre opere recenti è la danza, che se non erro è stata introdotta a partire dai primi esperimenti sui “tappeti magici” nel concept teatrale CCC [children’s cheering carpet], potete indicarmi le ragioni ed i vantaggi di questa scelta?
Inzialmente i primissimi esperimenti del “children’s cheering carpet” (2003) andarono in scena con attori che interagivano con il pubblico; successivamente cominciammo a sperimentare una relazione più dinamica con immagini e suoni modulati dal movimento di danzatori e i vantaggi e furono subito evidenti. Per una compagnia come la nostra, proveniente dal teatro visivo, il linguaggio della danza era il complemento ideale di una narrazione non verbale. Da allora in poi abbiamo sempre lavorato con danzatrici e coreografe perché le nostre scenografie visive prendono vita grazie alla poesia del corpo in movimento ed inoltre nel nostro caso la danza si integra perfettamente alla presenza in scena dei bambini che, abituati come sono a muoversi continuamente, sono dei danzatori naturali.
Oltre che per la fantasia ed il romanticismo innato della vostra produzione, TPO è certamente una compagnia all’avanguardia per l’utilizzo e la continua sperimentazione di tecnologie di interazione sempre più avanzate e sofisticate. Potreste fornire un panorama di massima:
Il TPO nel corso degli anni ha sviluppato modalità di lavoro organizzate in team: non c’è una gerarchia forte che va dal regista al performer passando per tecnici che si occupano della scenografia visiva. Il lavoro artistico comincia subito dalla parte grafica e dai contenuti tecnici dello spazio scenico. Facciamo quindi un grande lavoro di concept che si basa anche sulle caratteristiche tecniche dei nostri set interattivi. Nello specifico per le ultime produzioni usiamo, per monitorare lo spazio, sia telecamere normali che telecamere a raggi infrarossi; per la parte visiva possiamo usare un massimo di 4 videoproiettori associati insieme mentre per la parte hardware usiamo uno o due computer collegati in rete associando due o quatto monitor. Per la parte software usiamo Max/Msp con Jitter che a sua volta comanda parte dei suoni inviati dal computer destinato alla parte audio. Ultimamente abbiamo usato anche degli oggetti di scena consegnati al pubblico (dei cuori di lana) con dei ricevitori che ci permettono di inviare e ricevere dei comandi.
TPO, oltre ad essere una delle compagnie più accreditate a livello internazionale per il teatro per ragazzi (ne parleremo nel prossimo numero di My MEDIA), ha l’anima di un teatro stabile. Quali vantaggi o svantaggi derivano da questa scelta?
La nostra compagnia è cresciuta in simbiosi con il Teatro Mestasio prima ancora che diventasse Teatro Stabile della Toscana. Tutti i nostri lavori importanti sono nati come coproduzioni e questo spiega anche il perché abbiamo potuto ottenere contributi sufficienti per affrontare gli alti costi di produzione che un lavoro come il nostro richiede. Per noi il rapporto con il teatro stabile è un elemento vitale, ma è anche una responsabilità che ci assumiamo volentieri nel mantenere vivo e attivo un progetto più generale di teatro per l’infanzia, legato al territorio della provincia e della regione. Di recente il nostro rapporto con il Teatro Metastasio si è ulteriormente consolidato grazie alla direzione artistica di Paolo Magelli che ha scelto il TPO per curare la parte video della sua ultima produzione “Giochi di famiglia”.

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