Archive for Giugno, 2011
Quando l’immaginazione diventa realtà
Immaginatevi se un oggetto appartenuto ad un personaggio storico potesse parlare e raccontarne la storia. Immaginatevi che grazie alle tecniche multimediali questo oggetto prenda vita. Immaginate e poi venite al Castello di Vigevano, al Museo della Calzatura dove il 26 giugno 2011 viene inaugurato il primo spazio multimediale la cui protagonista assoluta sarà la pianella, calzatura di fine ‘400 ritrovata nel castello e che la tradizione popolare vuole essere stata indossata dalla duchessa Beatrice d’Este.
Il progetto integrato Leonardo e Vigevano ideato dal Consorzio A.S.T. -Agenzia per lo Sviluppo Territoriale, da poco più di due anni ha l’ambizione di promuovere Vigevano e il
LA STANZA DELLA DUCHESSA
Messe a fuoco di mutevoli prospettive
Di Claudia Frandi
Sebastiano Tomà Bogi da anni si misura con l’obiettivo in diversi set. Predilige da sempre gli eventi e i concerti, ma interessanti sono i seguenti lavori più sperimentali dove si vede affiorare l’esistenzialismo già presente
in maniera latente nelle foto dei vari artisti.
Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Dunque mi sono avvicinato alla fotografia già da bambino per poi studiarla a Milano durante il corso di grafico, trascurandola poi per il fumetto, da un certo punto di vista sempre ricollegato alla fotografia per lo studio che può esserci dietro, dall’ambientazione alla creazione dei soggetti e le inquadrature per riprendere in mano la macchina fotografica per un viaggio “rivelatore/di rinascita” fatto in solitaria a Cuba, da lì e per una lunga serie di eventi si è riacceso prepotentemente il fuoco della passione per la fotografia, che mi ha portato a seguire nuovamente tutta una serie di corsi dedicati, frequentare un circolo di fotografia, ricominciare a studiare ogni aspetto
fino ad arrivare ad avere una buona padronanza del “mezzo” e tenere alcuni
corsi base.
La scena sei tu a crearla o ti fai aiutare da qualche “collaboratore”?
La scena la creo e si crea, grazie a volte anche allo spunto dato da amici, sviluppato poi per la ricerca dell’ambiente che può cogliere quel soggetto, o a volte nasce da esplorazione di luoghi, spesso abbandonati, che possono portarmi l’ispirazione per un dato concept.
Sono curiosa….hai fotografi di riferimento? E periodi storici preferiti? Alcuni tuoi scatti sembrano una revisione moderna di melanconici periodi che hanno segnato molto anche altri ambiti culturali. Penso al cinema per esempio…
Non ho dei modelli principali di riferimento, ogni autore, fotografo ha un suo perché un suo modo di interpretare e da ognuno prendo qualcosa, quel che mi piace di più può essere il modo di usare i colori rispetto ai temi trattati. Prendo spunto sia dalla fotografia che dal cinema, dagli illustratori moderni ai passati artisti della pittura e della scultura ed ancora dai fumetti visto anche il mio trascorso.
Negli scatti metto tutto il mio bagaglio d’esperienza, per lo meno quello che mi son fatto fin ora e che tendo ad accrescere sempre più, quindi vi riscontrerai la passione per la pittura, per i fumetti, per il cinema e per la musica, e non meno la lettura…
Ogni foto sembra ammiccare ad un oggettivismo hegeliano che tende a minimizzare la possibilità dell’uomo di trarsi d’impaccio dai suoi stessi panni, ai quali è relegato, al luogo del sogno ove tutto è possibile nella misura in cui è pensabile. Il contatto con gli oggetti e con la natura stessa suggeriscono una ricerca quasi animista.
L’oggetto non è più mero soggetto di attenzione che conferisce alla foto dignità, ma diviene portatore di storia, anzi azzarderei di storie. Quelle che si trascina dietro a volte come pesante fardello altre come patrimonio indelebile di un passato che lo regalizza.
L’oggetto definisce anche il personaggio o meglio lo ancora a questa realtà/sogno dove egli si muove cercando e cercandosi nell’estenuante nube di sensi di cui è avvolto. Per non smarrirsi: è allora la ricerca del tangibile che lo tiene stretto sul confine tra reale, sogno e pazzia.
Una vera e propria “ filosofia della crisi ” che si snoda, scatto dopo scatto.
Non si stacca dall’oggetto, né si impone di ingannare lo sguardo dell’osservatore facendolo sembrare ciò che non è e alla stessa maniera non cade nella trappola della celebrazione della realtà. Non la usa come mezzo né tantomeno come fine.
E’il passaggio inevitabile dell’uomo sulla terra che lo lega inscindibilmente al proprio corpo e come tale lo rende terreno e bisognoso di tutto ciò che lo circonda.
La componente estrensicamente personale non affiora.
Ciò che queste fotografie ci offrono non è una visione del mondo assolutista, ma una delle tante possibili.
Le immagini non aspirano ad imporsi all’occhio dell’osservatore e per questo i particolari divengono curiose insegne che destano l’intelletto minuti dopo il passaggio dell’immagine nell’atmosfera retinica.
La reminescenza,il sogno, il reale giocato rendono il mondo di Sebastiano meritevole di essere vissuto in ogni suo scatto.
Il soggetto non si svincola dal costume.
Nato con lui nell’immagine dell’artista che malinconicamente apre le porte a scenari inusuali ma possibili.
Segno e simbolo affiorano alternativamente in un’altalena che solletica i sensi.
Un viaggio che merita di essere vissuto e lascia l’osservatore sgomento alla sua fine a chiedersi se il ritorno su questa strada dell’immaginato sarà possibile.
KINETIC RADIO RAID: SGUARDI CONNETTIVI TRA ETERE, WEB E TERRITORIO
Di Fabrizio Palasciano (@electrofab)
Quello che state leggendo è un Articolo Interattivo. Si tratta di un esperimento del collettivo Hypermedia Punk nell’ambito del cantiere di creatività sociale Urban Experience. Il percorso di ricerca su quelle che Carlo Infante definisce Scritture Mutanti ha portato alla creazione di questo format di scrittura che assume la forma di un report composto da Tweets. Brevi frasi ipertestuali che narrano la performance Kinetic Roma Radio Raid consentendo una completa esperienza multimediale nel cuore dell’evento. Le parole si mutano in un archivio dinamico che emerge dal supporto cartaceo per prendere nuova vita ed evolversi nello spazio pubblico del web.
The Twitter Report
Radio Raid: Incursioni urbane ed extraurbane via autoradio – http://goo.gl/giKnH
Sistematurgia basata sull’uso del segnale radiofonico in FM – http://goo.gl/V0eRD
L’autoradio scandisce un percorso (con gli interventi via cellulare dei partecipanti) che attraversa il territorio scorso dai finestrini delle automobili in corsa.
La macchina/automobile, come strumento/veicolo per la rilettura del territorio – http://goo.gl/FpjAp
Riappropriazione del territorio da parte dei cittadini che osservano la città con un occhio più critico, “linkando” gli infiniti percorsi di senso e conoscenza aperti da ogni tappa.
Sguardo in corsa attraverso un finestrino che la conduzione radiofonica rivela essere una finestra cinetica, in movimento – http://goo.gl/PeWzH
Genesi Del Radio Raid: “La scena invisibile” per Audiobox-RAIRadioUno (1989) – http://goo.gl/zzdUs
Un’azione performativa interagisce con una trasmissione radio incalzata dal suono degli altoparlanti che proviene dalle automobili che aprono le portiere all’arrivo sul piazzale del centro sociale La Morara di Bologna, lungo la tangenziale.
“Pellegrinaggi per Autoradio” solcano le campagne di Galatina – http://goo.gl/Z3acz
Il format compiuto del Radio Raid è realizzato nel Salento, dagli studenti del corso di Performing Media dell’Università di Lecce.
Happy New Hear Radio Raid: RadioPopolareRoma scandisce apparizioni di Panda Giganti – http://goo.gl/V3RzT
Una delle notti più fredde del 2009. La prima mossa del cantiere di Urban Experience: un percorso dall’Università di Roma “La Sapienza” al Centro Sociale Brancaleone, con soluzioni di spettacolarizzazione dello spazio che vanno ad integrare l’azione performativa in quella che diviene una vera e propria drammaturgia ipermediale disseminata sul territorio urbano.
A Cascina Caccia: Il Radio Raid converge sui beni confiscati alle mafie – http://goo.gl/3T7Au
Emblematico il Radio Raid organizzato con l’associazione antimafia Libera in Piemonte: tre equipaggi che da Torino, Alessandria e Casale Monferrato si dirigono a Cascina Caccia, bene confiscato alla ‘ndrangheta, anticipando i temi dell’assemblea con una conversazione radiofonica animata da telefonate, sms e tweets in real time.
Kinetic RomaRadioRaid su Facebook, il percorso urbano per auto-radio attraversa Roma dal Flaminio al Corviale – http://goo.gl/XPAgr
La domenica pomeriggio del 28 novembre 2010. Un momento di tregua dal traffico ordinario, per un’esplorazione dell’Urbe in automobile. Lo staff di Urban Experience viralizza le suggestioni del percorso su una pagina Facebook dedicata.
Kinetic Roma Radio Raid – Un progetto ludico-partecipativo nato dal cantiere di creatività sociale Urban Experience – http://goo.gl/pqtZm
Il progetto è realizzato insieme a FORD Italia e il sostegno dell’Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione di Roma Capitale.
Kinetic Roma Radio Raid – l’arte cinetica del futurismo, del luoghi e della cultura pop, dello sport, del cinema e della danza – http://goo.gl/8OrKc
Uno sguardo in movimento sull’urbanistica romana. Seguendo la linea scorrevole del Tevere (“dove tutto scorre”)
Ricerca della multidimensionalità dell’Urbe nei passati sepolti, antichi e recenti, sovrapposti ad icone futuriste – http://goo.gl/OJlF0
Viaggio antropologico e culturale, dalle icone novecentesche agli snodi dell’intelligenza connettiva del crowdsoucing – http://goo.gl/D98W8
Il percorso attraversa quartieri e luoghi nel segno di Architettura e Modernità – (Flaminio, Prati, il Gianicolo, Testaccio, Portuense, Corviale) – http://goo.gl/uchNR
Le vetture Ford Kinetic lungo la traccia del Tevere: un itinerario da vivere sulle frequenze FM 101,3 di Radio Centro Suono – http://goo.gl/jxK8n
I partecipanti interagisco con la trasmissione radiofonica tramite autoradio, partecipando attraverso SMS, Instant Blogging e twitter.
In corsa. Un kinetic automotive urbano caratterizzato dall’utilizzo di format interattivi di performing media – http://goo.gl/aGqoX
In alcune tappe veloci stop and go permettono di assistere ad interventi ed apparizioni (curiosi personaggi che tracciano graffititi, videoproiezioni e focus su particolarità architettoniche).
Happening radioguidato per uno sguardo cinetico sulla città – http://goo.gl/i7jbl
Il Radio Raid nella Bat-Caverna della concessionaria Fordstar – http://goo.gl/CxE2q
Il Radio Raid prende le mosse dalla grotta tufacea di via Flaminia 1113, recuperata dallo studio romano Spaceplanners e vestita di vetro e acciaio.
Traguardo finale del Kinetic RomaRadioRaid al Mitreo di Corviale con i format di Performing Media: Videomapping, Geoblog e Twitter Cloud Live – http://goo.gl/oioCN
La carovana del Kinetic Radio Raid conclude il suo itinerario al famigerato Kilometro laboratorio socio-antropologico che fa da palcoscenico a diversi format di Performing Media.
Radio Raid Geoblog: La mappa georeferenziata del percorso nell’urbe e la tag cloud live generata dagli interventi pubblicati in corsa su twitter – http://goo.gl/oTQ7e
The Kinetic Radio Raid Public Doc – http://goo.gl/2FORG
Radio Raid Tag Wall. Il muro di tag emerso dalla cronaca del Kinetic Radio Raid.
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Future Film Festival 2011
Future Film Festival 2011
Di Carmen Lorenzetti
La tredicesima edizione del Future Film Festival, che si è chiusa sabato 23 aprile, è durata meno rispetto agli anni scorsi (quattro giorni invece di sei) ed ha visto una riduzione di quantità di incontri e film, questi ultimi già l’anno scorso ridotti di numero rispetto agli anni precedenti con la disponibilità di un’unica sala di proiezione. Rimane tuttavia un appuntamento interessante, di livello internazionale ed indispensabile nel panorama un po’ asfittico bolognese. Si sono visti venti lungometraggi, con molte prime, otto erano i film in concorso per il Platinum Grand Prize, sessantadue sono stati i cortometraggi provenienti moltissimi dalla Francia che si conferma paese guida nell’ambito dell’animazione. E’ stato introdotto un nuovo premio dedicato a La Polla, docente e collaboratore del festival di recente scomparso, dato a una tesi di laurea sull’animazione e le nuove tecnologie, che è andato a Alessandro Giordano per una tesi sui Mondi Invisibili. Per i corti il secondo premio del pubblico è andato ex-aequo a Mobile della tedesca Verena Fels e a Rubika di Claire Baudean, Ludovid Habas, Mickael Krebs, Julien Legay, Chao Ma, Florent Rousseau, Caroline Roux, Margaux Vaxelaire (Francia), il primo premio invece a Le Royaume/The king and the beaver di Nuno Alves Rodrigues, Oussama Bouacheria, Julien Cheng, Sébastien Hary, Aymeric Kevin, Ulysses Malassagne, Franck Monier (Francia), che narra in un infantile 2D di un re che si fa costruire un castello-torre in legno da un castoro, che però cade e allora si rivolge nel suo delirio alle talpe per farsi fare un castello-sotterraneo. La giuria di esperti degli shorts ha dato la menzione speciale a Rubika per “l’intuizione di trasformare un gioco tradizionale (il cubo di Rubik appunto) in un thriller gravitazionale”, con la terra per l’occasione trasformata in un gigantesco cubo. Il primo premio della giuria è stato elargito a Bottle di Kirsten Lepore (USA) per “la capacità di scaldare il cuore con una storia d’amore narrata con materiali poveri” quali il personaggio di sabbia di una spiaggia delle calde latitudini e la palla di neve di un blocco antartico sulla riva del mare, che alla fine decidono d’incontrarsi nelle profondità dell’Oceano, ma prima di raggiungersi si sciolgono e tutto finisce. Il Platinum Grand Prize è andato per la menzione speciale a Paul dello statunitense Greg Mottola per “la capacità di integrare personaggio digitale con il contesto reale”, invece il primo premio è stato dato a No Longer Human del giapponese Morio Asaka, storyboard artist e regista per il famoso studio MadHouse. Si tratta dell’adattamento del romanzo psicologico Ningen Shikkaku scritto da Osamu Dazai nel 1948, in cui viene narrata la storia di un giovane artista, che poi si scopre in realtà disegnatore di manga, dalla vita tormentata dalla ingombrante presenza (descritta in termini espressionistici quasi munchiani) di un lato oscuro che lo allontana dalla capacità di interagire in modo sano e concreto con la società. La storia si dipana con un andamento delicato ed introspettivo, coadiuvata dai disegni di fragile ed incantata bellezza di personaggi che talvolta si incastonano nei paesaggi come quadri del designer Takeshi Obata. Forse solo un altro film può avvicinarsi alla espressione lirica del vincitore, che tuttavia non era in concorso: Arrietty del giapponese Hiromasa Yonebayashi animatore dello Studio Ghibli (per il quale ha lavorato in La principessa Mononoke, 1997; La città incantata, 2001; Il castello errante di Howl, 2004 ecc). E’ la storia di piccoli esseri dall’aspetto umano, ma grandi pochi centimetri, che vivono prendendo in prestito ciò di cui hanno bisogno dagli umani, che però si rivelano crudeli e quindi i piccoli vivono nella paura e sono costretti ad andarsene dalle case degli umani grandi qualora vengano scoperti, come accade alla piccola protagonista Arrietty e alla sua famiglia. Altro film in concorso piuttosto deludente è stato Mars dello statunitense Geoff Marslett, che narra di una nuova corsa allo spazio tra NASA ed ESA per andare a conquistare Marte, con i tre astronauti della navicella protagonisti del viaggio. Viene utilizzata la tecnica del rotoscopio, cioè vengono ricalcate con il disegno le riprese dal vero. Ma i contorni troppo neri appesantiscono le figure, che non sono all’altezza di altri esempi meglio riusciti come Waking Life e A Scanner Darkly di Richard Linklater. Classico colossal del Sol Levante avventuroso e molto commerciale in concorso è Detective Dee and the mistery of the phantom flame del prolifico regista di Hong Kong Tsui Hark. E’ una storia epica con attori veri che narra gli ostacoli frapposti all’ascesa al trono della prima imperatrice donna della dinastia Tong (690 d.C.) legati ad una misteriosa fiamma mortale che si sviluppa dall’interno dei corpi di personaggi vicini all’imperatrice Wu Zetian. Dee svelerà attraverso duelli spettacolari e pieni di effetti speciali il mistero del complotto.
La serata inaugurale è stato proiettato Cappucetto Rosso Sangue della statunitense Catherine Hardwicke, che narra le vicende di un villaggio tormentato da un licantropo che uccide da anni gli abitanti. Al centro della storia c’è una giovane contesa tra due ragazzi, il ricco e il povero, che cercheranno di salvarla dal licantropo che la vuole portare con sé, per scoprire alla fine che… ma non voglio svelare la fine della storia. Il licantropo enorme fuori misura, risulta forgiato dagli incubi e tutto sommato è una figura un po’ ridicola. E’ stato poi dedicato uno speciale a Luc Besson di cui sono stati proiettati cinque film, tra cui gli ultimi Arthur et la guerre des deux monds, il terzo della saga, e Adèle e l’enigma del faraone. Il regista francese ha poi partecipato ad un animato incontro con il pubblico in cui ha svelato che al centro dei suoi film c’è sempre se stesso e l’onestà con cui si pone di fronte a una storia che deve potere parlare a tutte le persone, da qualsiasi paese provengano. L’ispirazione gli deriva dalla vita e dalla sua attitudine di avere i sensi ben desti nei confronti di ciò che di straordinario può sempre accadere. Afferma infine che non è poi così diverso dirigere attori veri o fare un film di animazione, dato che il punto di partenza è identico, poiché gli attori indossano le loro tute con i punti di riferimento, che poi serviranno agli sviluppatori. Ha poi parlato della sua collaborazione con Moebius, con cui ha lavorato per un anno durante la preparazione del Quinto Elemento, cui è stato dedicata la conferenza successiva. Si trattava di una lunga intervista in francese al grande disegnatore. Per tornare a Besson, ha terminato con una frase, che forse dovrebbe essere maggiormente diffusa, soprattutto tra coloro che sono eccessivi fans della tecnologia fine a se stessa: “un brutto film in 3D continua ad essere un brutto film”.
Valeva la pena di vedere Surviving Life del ceco Jan Svankmajer, maestro storico dell’animazione soprattutto in stop motion, ispiratore di registi come Tim Burton. La storia deve molto ad accostamenti surreali della tradizione anche pittorica degli anni trenta, con una trama dove sogno e realtà si sovrappongono con un sottofondo psicanalitico ed ironico. La semplicità del tratto restituito con semplici disegni e collage sulle persone vere con ampio uso di disgustosi primi piani rende la produzione fresca e godibile.
Uno dei focus era dedicato alla Cina con la sua regione dello Zhejiang, dove sono nate recentemente nuove case di produzione. Al festival è stato presentato un lungometraggio d’animazione in concorso: The dreams of Jinsha del regista cinese Cheng Deming, un tuffo in un passato mitico d’una civiltà sull’orlo della catastrofe salvata dal bambino protagonista della storia. Il risultato è stato piuttosto deludente, troppo lungo e con poco ritmo.
La proiezione dell’ultima serata è stata dedicata a I guardiani del destino di George Nolfi, liberamente tratto dal racconto di Philip K. Dick Adjustment Team. Si tratta di una potenza aliena e fantascientifica impersonata da uomini che dominano le scelte umane, apparentemente anche quelle più imperscrutabili e libere come l’amore. Così che il candidato a senatore degli Stati Uniti (Matt Damon) non è libero di amare una donna incontrata per caso (Emily Blunt), perché sarebbe secondo i guardiani un ostacolo per la sua futura carica di presidente degli USA. Ma il protagonista non si sottomette a questa legge apparentemente inscalfibile e si proclama fautore del proprio destino, vincendo. L’intreccio e il contenuto interessante forniti da K. Dick non riescono ad elevare il film ad un buon livello qualitativo.
Dato che abbiamo iniziato dalla serata finale non possiamo che terminare con l’evento iniziale a mio parere non abbastanza pubblicizzato, per quanto invece meritava la dovuta attenzione, dell’incontro con il pubblico del guru della intelligenza artificiale delle reti Derrick De Kerckhove in dialogo con lo storico e critico d’arte Renato Barilli. Si è iniziato con una riflessione sulla consapevolezza del cambiamento in atto nella società da parte dell’artista, in cui Barilli afferma che l’artista lavora da una torre di controllo, quindi partecipe dei cambiamenti umani, dato che viviamo in un campo unico, gestaltico, che coinvolge egualmente tutti. Così De Kerckhove prosegue affermando che oggi viviamo in una situazione ambigua, dove il linguaggio (connotato dall’avvento dell’elettricità nel mondo contemporaneo) si dipana in forma individuale e comunitaria come nei social network e vive in uno status connettivo, perché le intelligenze interagiscono nella rete. Non solo, ma siamo immersi in un mondo tattile, multisensoriale, con una configurazione nuova dei sensi al centro dei quali sta il nostro punto di vita e non più il gutenberghiano e distanziante punto di vista. Come distinguere oggi un’artista nella estetica diffusa, come afferma Barilli, nella quale viviamo a partire dal nuovo modo di fare arte degli anni Sessanta? Per De Kerckhove è artista chi riesce a creare un nuovo strumento tecnologico che avrà una ricaduta vasta sulla cultura e la società. Per cui è un’opera d’arte l’invenzione del WorldWideWeb nel 1994 di Tim Berners-Lee o WikiLeaks di Julian Assange: sono opere che “fanno la differenza nel mondo” secondo un concetto di arte non più vulcanica, ma omeopatica, cioè che entra nei gangli delle abitudini e coscienze umane. C’è un pericolo però anche nel presente dominato dalla rete e dalle nuove tecnologie, con un individuo che tanto più sparisce quanto più si sa di lui, viviamo quindi in una situazione paradossale, da cui siamo chiamati però ad uscire per evitare l’orrore del presente, trovando un’ecologia dei media.
DATAFLOW
Una anteprima a cura di motor
Mi raccomando … che resti tra noi quanto vi sto per raccontare …
Qualche mese fa Mario Della Casa, mi chiamò presso i locali di HiroshimaMonAmour (HMA) per un’offerta che non avrei potuto rifiutare. Mario (forte della sua esperienza decennale, insieme a Fabrizio Gargarone e allo staff tutto di HMA nella produzione di eventi come TecnoTeatro o il Traffic, festival che attira decine di migliaia di spettatori con artisti internazionali, nonostante i “lungimiranti” tagli del governo ai finanziamenti) voleva un progetto per uno spettacolo che affrontasse il tema dei nuovi luoghi della socialità , come gli ipermercati , i mall e il tessuto connettivo di asfalto e cemento che li unisce e insieme i luoghi virtuali delle tracce (digitali ma non solo) che uomini e merci lasciano… L’altra idea forte era che lo show dovesse avere un forte impatto live e che quindi avrei diviso il palco con Madaski (sottraendolo per qualche tempo ai suoi impegni con gli Africa Unite, i Dub-Sync e alle sue numerose produzioni)… Io resisto a tutto tranne alla tentazione di un nuovo progetto impossibile … Ho cominciato a raccogliere suggestioni e documenti, a cercare collegamenti, visioni, immagini , luoghi, location, testi, suoni. Da un lato mi sono chiesto come gli umani vivano, percepiscano o ignorino questo onnipresente “dataflow”, mentre si spostano lungo gli spazi fisici di questa metropoli continua e rizomatica, che con addensamenti e rarefazioni, sta cominciando a coprire vaste aree del pianeta… Nuovi rituali para-religiosi spostano masse di persone verso luoghi che come cattedrali hanno architetture e simbologie antiche… Forse a Natale non siete andati a messa, ma sono quasi certo che anche voi vi siete ritrovati almeno una volta in un ipermercato per i vari rituali di fine anno…
Bollati con superficialità come “non luoghi” in realtà questi luoghi sono diventati “luoghi” di riferimento e socialità (é stato lo stesso Marc Rougé a correggere questo pregiudizio). L’idea di traccia mi ha portato a riflettere su quanto tutti noi o gli oggetti che ci circondano siamo definiti dalle nostre identità digitali e dalle tecnologie che adottiamo… Viviamo immersi in un flusso tecnologico, sempre più indipendente dalla nostra volontà, sempre più simile ad un organismo in evoluzione: il Technium, secondo la definizione di Kevin Kelly. Mi interessava questo processo contrapposto e insieme inseparabile, l’evolversi esponenziale della tecnologia, di questo organismo.
Ormai gran parte del traffico sulle reti è scambio dati diretto tra macchine, non destinato a operatori umani. Reti di sensori, in origine soprattutto militari, poi finanziari e poi sempre più civili, domestici si formano e si connettono, prendono decisioni e agiscono… Un mormorio digitale continuo… Migliaia di telecamere che ci guardano… ma forse solo perché il technium sta cercando di definirsi, di scoprirsi in uno sforzo non ancora conscio di autopoiesi? Per capire il technium occorre studiarne i linguaggi, i processi, non limitarsi al lato “umanistico” (umano?) e credere che basti… come si può ancora teorizzare di digitale senza praticarlo? Sarebbe come studiare letteratura anglosassone, senza sapere l’inglese… o parlare di calcio senza aver toccato un pallone… e da qui la necessità dell’hacking, dell’uso non previsto (dalla Microsoft…) della Kinect, delle telecamere per sport estremi, della riprogrammazione degli smartphone… In questo nuovo universo , dove le immagini sono più vere degli originali (quando ancora questi ultimi esistono), dove i paesaggi interni ed esterni implodono, è facile ritrovare le profezie ballardiane che si avverano ad una ad una… ma i collegamenti a volte sono imprevedibili … ho avuto la sorpresa di riscoprire in Italo Calvino un contro-canto magico… nel suo famoso libro “Le città invisibili” già descriveva le città continue che oggi ci sembrano così normali… …mi sono chiesto quale poteva essere una colonna sonora ideale e anche qui l’intuizione di Mario Della Casa sulla scelta del musicista era perfetta… l’ecologia sonora urbana da cui nascono il dubstep o il drum&bass, ma anche il paradosso del successo del noise pop dei Nine Inch Nails (paradosso per chi crede che il pop debba di necessità essere fatto da stelline e veline raccomandate dai premier), le stesse dinamiche di diffusione di questi suoni (le radio pirata londinesi ad esempio o le community online come Soundcloud), le stesse pratiche di produzione e remix e ibridazioni continue, si accomunavano ai flussi di dati, persone e merci di questa periferia sempre familiare e insieme irriconoscibile… Ho immaginato quindi di lavorare sulla tensione tra me e Mada. Io lavoro sulla costruzione di spazi, Mada li riempie, li manipola, li suona. L’idea è che io mi occupi dei flussi video e degli ambienti sonori, mentre Mada invece, da vero animale da palcoscenico, trascinerà il pubblico con i suoi live dub …Mada è il delay, io il riverbero… And the bass is a weapon… A che punto siamo? Il progetto DATAFLOW è partito (potete vedere lo storyboard nelle immagini …); a breve cominceremo le riprese in time-lapse e slow-motion con Giulia e Giacomo (lo staff video di HMA)… le versioni alpha dei codici in max-msp e processing per leggere gli scan della kinect, o per collegarsi ai feed di pachube, le prime versione del video synth sono già in esecuzione, e Mada sta già lavorando ai suoni (a distanza, da vero nomade digitale, mentre è in tour con gli Africa…). Resta ancora moltissimo da fare … vi terrò aggiornati. Ma mi raccomando: sono informazioni riservate… BOX
Rizomi suggeriti
Kevin Kelly – Cosa vuole la tecnologia – ed Codice OpenGL_Shading_Language_3rd_Edition (Orange Book) Randi J. Rost Bill Licea-Kane Addison Wesley OpenGl Specifications GLSLangSpec.4.10.6 OpenGL 7th editions OpenGL_Programming_Guide_7th_Edition . Addison-Wesley The new religious Image of urban America – The shopping mall as ceremonial center -Ira Zepp – University press of Colorado La religione dei consumi – George Ritzer e- cattedrali, pellegrinaggi e riti dell’iperconsumismo ed il Mulino The kingdom Come – J.G. Ballard (Il regno a venire) ed Feltrinelli The Atrocity Exhibition – J.G. Ballard (La mostra delle atrocità) ed Feltrinelli Iain Sinclair – London Orbital … ed. Saggiatore Beginning Android Mark L. Murphy Apress Le città invisibili Italo Calvino ed.Mondadori ExtremeTech Hacking rss and Atom Leslie Orchard Wiley Publishing ExtremeTech Hacking Google Maps and Google Earth – Martin C. Brown Wiley Publishing Programming-Interactivity-A-Designers-Guide-to-Processing-Arduino-and-openFrameworks-ed O’Reilly La società dello spettacolo – Guy Debord Sonic warfare — Kode9 MIT Press Tecnoapocalips DVD The Net DVD www.hiroshimamonamour.org www.Cycling74.com
www.pachube.com
box short bio di motor artista digitale e performer, programmatore, ha al suo attivo progetti come cleanUnclean (per immagini di guerra, cori digitali e basse frequenze), Heatseeker (video teatro) e ultimamente gira per l’Italia con l’Orchestra Meccanica Marinetti (Action Sharing), concerto per due robot percussionisti e performer umano… Ha collaborato e collabora con gruppi di teatro, videomaker, musicisti …
box short bio di Mada
Madaski o Mada è cantante, tastierista e produttore discografico italiano. Oltre a cantare, suona principalmente le tastiere, i sintetizzatori e il basso elettrico. Leader insieme a Vitale “Bunna” Bonino del gruppo reggae Africa Unite, è un personaggio molto noto e stimato nel panorama musicale torinese e nazionale. La sua prima esperienza musicale di una certa rilevanza arriva nei primissimi anni ottanta quando, diplomato in pianoforte, suona nei Suicide Dada, gruppo dark new-wave torinese. Nel 1981 decide, insieme a Vitale “Bunna” Bonino, di formare i primissimi Africa United (poi Africa Unite), gruppo reggae-dub che sarà al centro della scena reggae e alternativa italiana per oltre vent’anni. Parallelamente agli Africa Unite, Madaski porta avanti anche diversi progetti , come i Dub Sync, ed é noto come produttore discografico. Ha collaborato anche con artisti come Antonella Ruggiero, Franco Battiato e Jovanotti.
Box short bio per Hiroshima Mon Amour
Storico club di riferimento per la scena torinese, ma anche europea, ha ospitato sui suoi palchi il meglio dell’underground musicale da tutto il mondo e ha dato vita a numerosi festival ed eventi … anche motor debuttò lì oltre vent’anni fa…
Alle radici di un grande successo
Alle radici di un grande successo
Intervista con TPO
Le vostre nuove produzioni teatrali sono state recentemente annoverate tra le espressioni più efficaci degli “ambienti sensibili”, ambienti cioè a matrice digitale che rappresentano attraverso l’interazione con le nuove tecnologie un forte impatto ludico emotivo. Quali sono le difficoltà di realizzare queste forme immersive ad alta valenza pedagogica per i più giovani?
Gi ambienti interattivi del TPO sono innanzitutto delle scenografie teatrali, devono quindi essere interessanti esteticamente, accessibili ad un pubblico di bambini e adulti, essere in grado di comunicare senza creare barriere di lingua o cultura ed infine devono essere facili da montare e trasportare; la complessità del nostro lavoro sta quindi nel creare progetti interessanti tenendo conto di questi limiti. In ognuno dei nostri allestimenti dedichiamo molto tempo alla progettazione del lavoro grafico e sonoro perché la drammaturgia dei nostri spettacoli non si basa su testi ma su di uno storyboard visivo. E’ un lavoro, questo, simile alla sceneggiatura cinematografica: occorre definire con una certa chiarezza come si succedono gli eventi e poi creare scene interattive interessanti sotto il profilo teatrale e sotto il profilo pedagogico. Procediamo, quindi, partendo da un contenuto visivo che nel nostro caso è spesso composto da filmati o animazioni sia in 2D che in 3D; poi, all’interno delle singole scene, cerchiamo di dare un forma artistica o teatrale al rapporto tra immagini, suoni e movimento. Alla fine di questo processo creiamo delle coreografie interpretate da danzatori oppure degli ambienti sensibili nei quali i bambini possano giocare oppure creare delle proprie composizioni.
A partire dal 2002 TPO ha avviato una ricerca decisamente all’avanguardia per quanto concerne la possibilità di interagire con l’ambiente scenico attraverso proiezioni dall’alto su un tappeto dotato di sensori a pressione, poi la produzione si è ulteriormente emancipata costellando lo spazio scenico di sensori di ogni tipo, incluse le tecnologie di motion tracking, ampliando a dismisura le possibilità di interazione/esplorazione. Dal punto di vista delle possibilità di adattamento della regia e della drammaturgia alle nuove possibilità espressive che cosa è cambiato nella vostra progettazione?
Già l’utilizzo di un tappeto interattivo in grado di attivare suoni e immagini con la sola pressione del piede o del corpo, ha rappresentato un enorme cambiamento nella relazione con lo spazio scenico. Per la prima volta abbiamo potuto sperimentare la possibilità di suonare o creare immagini semplicemente con il movimento e questo ha un effetto teatrale magico. L’uso di altri sensori, videocamere, microfoni etc… ha ampliato ulteriormente queste possibilità perfezionando e raffinando la relazione tra il corpo e lo spazio. Le telecamere infatti possono monitorare non solo la superficie piatta ma anche il volume dello spazio scenico, quindi il movimento o la voce di uno più attori possono essere monitorati con una precisione maggiore. Una grande evoluzione tecnica è stata possibile grazie all’utilizzo del software MaxMsp con Jitter che consente un controllo simultaneo di più tipologie di sensori collegati a più videoproiettori o più sorgenti sonore. Con Max/Msp si possono anche generare immagini e suoni attribuendo dei parametri variabili al movimento dei performer o del pubblico e questo aspetto, considerando il progressivo aumento della potenza grafica dei computer, rende estremamente vario il campo delle possibilità creative,
Talvolta, faccio espresso riferimento ad uno spettacolo come Play Please!, si avverte come una sorta di emancipazione rispetto alla necessità di una narrazione come quella a forte impatto emotivo che ha caratterizzato ogni ciclo di ricerca nell’ambito del teatro per ragazzi delle vostre produzioni. Che riscontro ha avuto nel pubblico?
Play Please! è una produzione recente che ancora non ha circuitato abbastanza per poter dare un giudizio definitivo sull’esito del progetto. Certamente durante il mese di repliche fatte a Prato nel nostro spazio teatrale, il pubblico era realmente coinvolto ed entusiasta della proposta musicale ideata dalla compagnia. Il successo di Play Please! sta nella proposta pedagogica: tutti, ma proprio tutti possono suonare, anzi hanno il diritto di suonare. Rendere la musica, che di per sé è un linguaggio difficile, accessibile a tutti è stato un traguardo raggiunto grazie alle tecnologie digitali. In pratica il pubblico può produrre o modulare suoni grazie a fasci di luce che funzionano come zone sensibili. In questo progetto un grande lavoro è stato condotto da Spartaco Cortesi (sound designer) nella composizione di librerie sonore, da Elsa Mersi (digital designer) nell’aver creato un concept visivo astratto e da Rossano Monti (computer engineering) che ne ha curato la programmazione.
So che andrete avanti su questa strada proponendo una vera e propria installazione dentro quattro container a Manchester. Prevedete ulteriori sviluppi?
L’installazione che stiamo preparando per Manchester sarà il vero test internazionale di Play Please!, c’è molta attesa per questo progetto che incuriosisce molto il pubblico inglese e c’è molta attesa anche da parte nostra visto che agiremo all’interno di uno spazio creato ad hoc per la compagnia. Un ulteriore sviluppo è già in programma e parte da una proposta nata in collaborazione con il coreografo inglese Tom Dale. Con Tom Dale ed altre due danzatrici il TPO creerà un nuovo spettacolo che ha già in programma un tour di un mese nel Regno Unito, a partire dal Juice Festival di Newcastle il prossimo ottobre (2011).
Grande protagonista delle vostre opere recenti è la danza, che se non erro è stata introdotta a partire dai primi esperimenti sui “tappeti magici” nel concept teatrale CCC [children’s cheering carpet], potete indicarmi le ragioni ed i vantaggi di questa scelta?
Inzialmente i primissimi esperimenti del “children’s cheering carpet” (2003) andarono in scena con attori che interagivano con il pubblico; successivamente cominciammo a sperimentare una relazione più dinamica con immagini e suoni modulati dal movimento di danzatori e i vantaggi e furono subito evidenti. Per una compagnia come la nostra, proveniente dal teatro visivo, il linguaggio della danza era il complemento ideale di una narrazione non verbale. Da allora in poi abbiamo sempre lavorato con danzatrici e coreografe perché le nostre scenografie visive prendono vita grazie alla poesia del corpo in movimento ed inoltre nel nostro caso la danza si integra perfettamente alla presenza in scena dei bambini che, abituati come sono a muoversi continuamente, sono dei danzatori naturali.
Oltre che per la fantasia ed il romanticismo innato della vostra produzione, TPO è certamente una compagnia all’avanguardia per l’utilizzo e la continua sperimentazione di tecnologie di interazione sempre più avanzate e sofisticate. Potreste fornire un panorama di massima:
Il TPO nel corso degli anni ha sviluppato modalità di lavoro organizzate in team: non c’è una gerarchia forte che va dal regista al performer passando per tecnici che si occupano della scenografia visiva. Il lavoro artistico comincia subito dalla parte grafica e dai contenuti tecnici dello spazio scenico. Facciamo quindi un grande lavoro di concept che si basa anche sulle caratteristiche tecniche dei nostri set interattivi. Nello specifico per le ultime produzioni usiamo, per monitorare lo spazio, sia telecamere normali che telecamere a raggi infrarossi; per la parte visiva possiamo usare un massimo di 4 videoproiettori associati insieme mentre per la parte hardware usiamo uno o due computer collegati in rete associando due o quatto monitor. Per la parte software usiamo Max/Msp con Jitter che a sua volta comanda parte dei suoni inviati dal computer destinato alla parte audio. Ultimamente abbiamo usato anche degli oggetti di scena consegnati al pubblico (dei cuori di lana) con dei ricevitori che ci permettono di inviare e ricevere dei comandi.
TPO, oltre ad essere una delle compagnie più accreditate a livello internazionale per il teatro per ragazzi (ne parleremo nel prossimo numero di My MEDIA), ha l’anima di un teatro stabile. Quali vantaggi o svantaggi derivano da questa scelta?
La nostra compagnia è cresciuta in simbiosi con il Teatro Mestasio prima ancora che diventasse Teatro Stabile della Toscana. Tutti i nostri lavori importanti sono nati come coproduzioni e questo spiega anche il perché abbiamo potuto ottenere contributi sufficienti per affrontare gli alti costi di produzione che un lavoro come il nostro richiede. Per noi il rapporto con il teatro stabile è un elemento vitale, ma è anche una responsabilità che ci assumiamo volentieri nel mantenere vivo e attivo un progetto più generale di teatro per l’infanzia, legato al territorio della provincia e della regione. Di recente il nostro rapporto con il Teatro Metastasio si è ulteriormente consolidato grazie alla direzione artistica di Paolo Magelli che ha scelto il TPO per curare la parte video della sua ultima produzione “Giochi di famiglia”.
Polimoda Fashion Show 2011
Proponiamo qui una breve rassegna fotografica del Fashion Show presentato al Saschall di Firenze da Polimoda, Istituto Internazionale di fashion design e marketing, centro di eccellenza italiano nel mondo.
Sulla passerella hanno sfilato 55 collezioni di altissimo design.
Polimoda Fashion Show
Ho trovato l’edizione 2011 del Polimoda Fashion Show, se possibile, ancora più esaltante delle precedenti.
Vi ho colto una più corale attenzione agli aspetti meno considerati nell’immaginario collettivo degli utenti di un fashion show: anziani e bambini.
Proporremo una selezione di foto e di video nei prossimi giorni. Per il momento: eccovi l’aperitivo giapponese di Osaka Bunka!
ANNULLATO IL MUV
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