
Di Giada Totaro
La terza edizione di StreamFest, festival internazionale dedicato alle arti elettroniche e digitali, si è svolta dall’1 al 21 agosto 2009 nei principali comuni del Salento, quali Lecce, Brindisi, Otranto, Galatina, Santa Cesarea Terme e Gallipoli.
Strutturato in modalità itinerante, il festival si è sviluppato attraverso diversi momenti e modalità d’incontro, conciliando informazione, partecipazione e spettacolo, intorno al tema dell’eco-entertainment e dell’ecosostenibilità nelle arti elettroniche e digitali.
La manifestazione è stata pensata per rispondere alle esigenze della variegata popolazione, sia locale che turistica, delle affollate estati salentine: momenti d’informazione come il meeting Politiche energetiche: contesti globali ed azioni locali e la Rassegna Cinemaambiente, sono stati alternati a serate musicali con ospiti di rilievo della scena contemporanea elettronica come Leeroy Thornhill, Congo Rock, Cassy e Reboot, durante le quali sono state presentate diverse installazioni, tra cui Blank del gruppo D3D Naba.
In particolare, fulcro delle tematiche del festival è stata la mostra collettiva Wet and dry_ relazioni tra arte e natura nel contemporaneo tecnologico, ospitata dal Palazzo della Cultura Zeffirino Rizzelli di Galatina dall’1 al 12 agosto, curata da Giada Totaro in collaborazione con A&A Ars and Gallery (Galatina-LE), realizzata grazie alla partecipazione di Xtend3dLab di Milano, al Dipartimento di Media e Arti multimediali e Master D3D (Naba-Milano) e gli studenti dell’Accademia di Brera (Milano).
Wet and dry: in Salento una mostra come esperienza rituale di riconciliazione tra uomo, natura e tecnologia.
Immaginiamo una condizione alla Fallout, videogioco ambientato nel 2277, 200 anni dopo un disastro nucleare che ha trasformato la terra in una distesa arida ed irradiata di rovine naturali e tecnologiche insieme, solo che, al posto dei bunker sotterranei, abbiamo le antiche rovine della Grecia salentina e, invece della società Vault-Tec, abbiamo artisti locali, nazionali ed internazionali, che come dei primitivi elettronici, avviano la
ri-costruzione di una nuova coscienza ecologica, cioé un oikos,“casa” e logos, “discorso”, che dal locale estende il suo immaginario verso il globale.
Wet and dry: un paesaggio primordiale ed evoluto insieme, in cui uomo e natura, nella riscoperta del reciproco valore autentico, ritrovano l’equilibrio perduto, attraverso un uso consapevole ed intelligente della tecnologia.
All’esterno di questo scenario, l’opera di Sandro Marasco, Quanto?.
Appesa al cornicione della terrazza del palazzo, composta dalla scritta “Quanto tempo resta prima di morire”, realizzata in legno carta e luce wood, l’opera, da frammento della condizione globale di costante terrore indotta dall’informazione mass mediatica, diventa constatazione e riscoperta interiore dell’unica risposta umana possibile: dipende tutto dalla nostra insostituibile soggettività.
Varcato il portone del palazzo, ancora un momento di sospensione, all’origine della relazione dell’uomo con la natura, con l’installazione sonora di Mario Schiavone
L’ àpeiron e la reverie_ Ho dato voce alla luce del nero. Quattro steli monolitiche, realizzate in plexiglass riflettente nero, narrano ed invitano al riconoscimento del sé autentico nella scoperta dello spettacolo della vita.
Da questo momento in poi il visitatore attraversa un campo di germogli wet and dry, spunti dai quali è possibile iniziare una riflessione: la sensazione è che per ristabilire un’armonia sociale e ambientale nell’odierno tecnologico, l’uomo debba recuperare il valore archetipico e rituale della vita.
Il recupero del tatto e della manualità è la spinta di artisti come Beatrice Menniti e Burhan Sabbah Alhilu, che, riciclando materiale hardware di computer manomessi, realizzano Open hardware, un’interfaccia interattiva personalizzata e multifunzionale, programmata con software open source e free ware.
Fabio Pelagalli, in collaborazione con Tinker.it!, presenta Water Piano, un pianoforte realizzato in legno, hardware riciclato e Arduino, programmato in Linux e Puredata, la cui tastiera è composta da sei tasti, come sei piccole bacinelle, riempiti d’acqua.
Water Piano è uno strumento che sfrutta la possibilità del nostro corpo di condurre energia attraverso il contatto con l’acqua. Grazie ad un circuito di sei sensori capacitivi, immergendo le dita nell’acqua dei tasti, l’impulso elettrico è trasformato in note musicali.
Water Piano è un modo originale che ricorda quanto sia preziosa l’acqua, e quanto la nostra vita sia legata a questo elemento naturale. Un chiaro invito a riflettere sulla libera fruibilità dell’acqua, sulle attuali politiche che vorrebbero privatizzarla, sullo sviluppo di pratiche che ne consentano il riciclo.
ElectroSmogMusic//DestroyingNonAwareness//DNA//, l’installazione interattiva di Lucrezia Tenerelli e Mauro Pace, realizzata con alcuni sensori collegati ad Arduino, è un traduttore acustico dell’elettrosmog prodotto dal flusso delle onde elettromagnetiche emesse dai cellulari. L’intento è di rendere i fruitori maggiormente consapevoli dell’inquinamento elettromagnetico che attraversa quotidianamente il corpo umano causando fratture nella catena del DNA, disturbi cognitivi, mutazioni della struttura molecolare delle cellule, inibizione delle difese immunitarie. Il visitatore avvicina il proprio cellulare ai sensori: all’aumentare del livello di elettrosmog, il movimento e il suono di una sinusoide, metafora della struttura del DNA, realizzata con una cordicella messa in moto da un motorino, mutano aspetto, qualità e colore.
Alessandro Bono ed Emiliano Audisio presentano Environmental Data Sounds.
Un database contenente dati d’inquinamento ambientale è sottoposto ad una scansione temporale tematica dando vita ad un processo di sonificazione. L’utente può navigare l’installazione attraverso un’interfaccia realizzata con Arduino e due hard disk riciclati e trasformati nella loro originaria funzionalità: “scretchando” i dischi interni degli hard disk con le mani, è possibile avviare una lettura sonora e grafica di dati statistici confrontati con i valori limite dettati dal protocollo di Kyoto nel 1997 e verificare in tempo reale la critica situazione di equilibrio ambientale del nostro pianeta.
Senza titolo di Fabrizio Fontana, Nduma nnu ciru di puntoG e Tafkav_the artist formely known as Vanda di Francesco Monico, riattualizzano il valore del rituale, come pratica di conoscenza condivisibile tra uomo natura scienza e tecnologia.
Senza titolo è una croce formata da scatole di farmaci e contornata nel perimetro da erba sintetica: l’opera, realizzata per l’occasione, in qualche modo vuole simboleggiare un Dio “sintetico” nel rapporto tra l’umido biologico e il secco tecnologico, tra il naturale e il sintetico.
Nduma nnu ciru di puntoG, è un synth audio composto da un candeliere votivo antico ed un sistema di sensori fotosensibili posto al di sopra della luce delle candele.
L’opera realizzata con software e hardware opensource è ispirata al valore di necessaria mediazione del ruolo della donna [Luisa Muraro] nelle arti tecnologiche.
Tafkav_the artist formely known as Vanda di Francesco Monico, esplora le tematiche della fine dell’antropocentrismo, attuando un approccio pragmatico alla comunicazione uomo-alterità. Le variazioni galvanometriche della pianta sono raccolte da uno psicogalvanometro collegato ad Arduino e, inviate nel computer, sono tradotte in sonorità musicali. L’opera propone una metodologia dialogica tra arte, scienza, tecnologia e natura, definita technoetica, dall’unione tra techné e noetikos:
« La definizione estetica del paradigma tecnologico contemporaneo sarà tech-noetica, cioè una fusione di che cosa conosciamo e possiamo ancora indagare sulla coscienza (noetikos) con ciò che possiamo fare e finalmente realizzeremo attraverso la tecnologia». [Roy Ascott]
Ennio Bertrand in questo contesto fa da guida con l’installazione bio-attiva La scatola di Giotto_Fiori di luce, basata sul principio di reazione elettrochimica del contatto tra la componente acida del succo di limone con una data quantità di rame e zinco. Composta da 12 vaschette con due fiori LED ciascuna, poste su una zolla di erba, come germinatoi per le piante di uso comune, le composizioni diventano piccoli incubatoi per far germinare energia elettrica. L’installazione appartiene alla sua poetica di ricerca di fonti alternative e rinnovabili di energia elettrica per i suoi lavori di luce.
«I Fiori di Luce producono da sé l’energia elettrica per il loro funzionamento anche se occorre sottolineare che il bilancio energetico tra energia prodotta e quella impiegata: per la coltivazione dei limoni, la preparazione della lastre dei metalli, la produzione del contenitore in plastica, della parte elettronica è ampiamente sfavorevole. E’ stata spesa molta, molta più energia di quanta se ne ricavi dal succo dei limoni. È però un atto con valore poetico che propone una riflessione per cercare di ristabilire un equilibrio tra credito e debito nei rapporti con il pianeta che abbiamo in prestito d’uso». [Ennio Bertrand]
E se con Raffaele Fiorella in Dream paradossalmente ci risvegliamo nella corporeità della nostre fantasie, è in Life Bag di Adalgisa Romano che ritroviamo il desiderio della bellezza, dell’amore e della dolcezza delle forme della vita che si rigenerano.
Alla mostra hanno partecipato anche: Composizione 12 di Annamaria Craparotta (in collaborazione con gli studenti dell’Accademia di Brera, A. Cherfi, Casati e Missaglia), Carolina Travi e Barbara Martinazzi D. Botter con Kara Doccia, Ulia Oberg e Farras Oran con Scale of pollution, Franco G. Livera, Gianmaria Giannetti, Lea Caputo, Semira Forte, Illuminata Vanessa Lo Presti, Elena Rossella Lana.