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Osservatorio di Cultura Digitale
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Archive for Giugno, 2009

Famadihana

Giugno 26, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

Di Fabrizio Pecori

Fa un certo effetto a chi come me è appena tornato da un lungo viaggio in Madascar trovare la casella postale (ed ancor più quella e-mail) tormentata da coloratissime offerte pubblicitarie e promozioni commerciali. A queste si aggiungono in una tempesta fitta di suoni adamantini i messaggi televisivi e radiofonici.

Siamo gli epigoni di una società post-commerciale che sotto il vessillo delle merci usa e getta e degli incentivi alla rottamazione ha celato ed ancor di più esorcizzata quell’attitudine alla cura che ha caratterizzato e continua a caratterizzare la cultura sociale di gran parte del globo.

Restituiamo computer e cellulari che, splendidi del bagliore della novità solo pochi mesi prima, decadono dalla cattedra del desiderio lasciando il posto a nuovi feticci tecnologici (e non solo).

Nella rapidità del consumo siamo soliti non lasciare più alcuno spazio di rispetto alla dedizione della conservazione. Noi (ed ancor più i nostri figli) usiamo con disattenzione ed incuria oggetti che hanno rappresentato mesi se non anni di lavoro di intere equipe di designer ed ingegneri.

Non c’è più interessamento, affetto ed amore per i precedenti decaduti oggetti del desiderio. Le nostre tasche, le nostre borse, le nostre cartelle, le nostre case, le nostre auto, le nostre strade sono lastricate di cadaveri di plastica, silicio ed altri infiniti materiali inquinanti. Nessun rispetto è assicurato ai defunti del mercato emozionale.

Come è tutto diverso da quelle incredibili testimonianze d’amore e di fraternità che legano i malgasci persino alle ossa dei propri cari trapassati.

Girando per le strade del Madagascar è frequente trovare piccoli e grandi cortei dediti al famadihana, ovvero alla cerimonia del “voltare le ossa”, nel corso della quale i defunti vengono esumati per tornare a fare festa in famiglia. Al di là del nostro iniziale disorientamento, si tratta di occasioni gioiose ed intense che si celebrano nelle famiglie più o meno ogni sette anni fra banchetti, libagioni, danze e canti che celebrano la ricongiunzione temporanea con i propri familiari non più in vita e ne testimoniano l’affetto che perdura.

Le salme dissotterrate danzano con i vivi nel loro corpo naturale oppure all’interno di una bara novella, in funzione dello stato delle ossa del caro estinto; e dopo qualche giorno di compresenza sulla superficie vengono riadagiate nel caro conforto del ventre della Madre Terra.

Non sarebbe altrettanto bello assicurare almeno periodicamente qualche ultimo sporadico trillo alla suoneria del telefonino che abbiamo deciso di sostituire con il fulgido monitor dell’iPhone?

Sarà forse un caso che a proposito del prodotto più ambito dell’estate Steve Jobs, attuale CEO Apple, parla addirittura di rivoluzione? «Di solito un uomo è fortunato ad assistere ad una grande rivoluzione: io sono già alla seconda», asserisce.

Non è forse tipico delle rivoluzioni il tentativo permanente di celare tutte le tracce e tutte le occasioni di compianto delle epoche precedenti?

Trame

Giugno 25, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

a cura di Ariella Vidach

Performance realizzata a conclusione del Progetto (per)formativo 2008/2009

Lunedì 29 giugno, ore 21
DiDstudio / Fabbrica del Vapore, via Procaccini 4 MILANO
Ingresso libero

Prenotazione consigliata allo 02 3450996 o info@aiep.org

Per la newmedia art è tempo di ricominciare da UNO – Unidentified Narrative Objects

Giugno 25, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

Di Simona Lodi

Mi è piaciuta la sfida che Francesco Monico ha lanciato con un dibattito sulla new media art al “Centro Forma” di Milano lo scorso 4 marzo. Francesco Monico è l’attivissimo Direttore Scuola Media Design & Arti Multimediali , presso la NABA – Nuova Accademia di Belle Arti Milano, progettata da lui stesso, dove insegna Teoria e Metodo dei Mass Media.

Il simposio da lui organizzato sulla formazione e la ricerca nelle new media art, fa parte delle attività del programma di ricerca dottorale Phd M-node,  era incentrato su una tematica che ha colpito nel segno provocando una valanga di contributi da parte di critici, artisti, scrittori, registi e curatori italiani. Lo spunto teorico del simposio è stato la valutazione critica che Wu Ming 1 (http://it.wikipedia.org/wiki/Wu_Ming) fa della narrativa italiana contemporanea definita New Italian Epic. Estendendone la portata culturale oltre la letteratura e trasponendone il paradigma dal romanzo all’ambiente audiovideo e alla new media art si compie il breve passaggio  che dagli Oggetti Narrativi Non Identificati porta agli Audiovisivi Non identificati.

Il celebre saggio di Wu Ming 1sul New Italian Epic dice:

Nelle lettere italiane sta accadendo qualcosa. Il convergere in un’unica – ancorché vasta – nebulosa narrativa di parecchi scrittori …. In genere scrivono romanzi, ma non disdegnano puntate nella saggistica e in altri reami, e a volte producono “oggetti narrativi non-identificati”. Diversi loro libri sono divenuti best-seller/o long-seller in Italia e altri paesi… ma sono una generazione letteraria: condividono segmenti di poetiche, brandelli di mappe mentali e un desiderio feroce che ogni volta li riporta agli archivi, o per strada, o dove archivi e strada coincidono.

.(Da http://www.wumingfoundation.com/italiano/WM1_saggio_sul_new_italian_epic.pdf)

Monico ha chiesto a quasi 30 tra artisti, critici, registi scrittori se quella massa di prodotti come film brevi, video clips, video artistici,  cortometraggi, clips musicali o net.art, installazioni interattive e spettacoli multimediali sono Oggetti Audiovisivi Non Identificati o spazzatura? Se le produzioni di media audiovisivi, così come le opere di new media art fatte in Italia dagli anni Novanta, fossero analizzate criticamente attraverso un nuovo paradigma e si condividessero le premesse critiche che Wu Ming ha trovato nella tesi degli UNO – Unidentified Narrative Objects- si avrebbe una nuova epica italiana legata alla new media art? C’è qualcosa che unirebbe letteratura e newmedia art oggi in Italia?

Quali sarebbero i confini dentro i quali la “nebulosa” della new (media art) italian epic trae origine? Esiste un contesto sociale storico e quindi culturale che ha identificato un unicum italiano che va oltre la letteratura e si allarga a macchia d’olio anche a produzioni artistiche degli ultimi anni?

In ambito letterario il sanguigno Wu Ming 1 ha avuto il merito di scatenare un dibattito che, come lui stesso afferma,  “non accenna a spegnersi, anzi, si ravviva e si innalza a ogni bava di vento.  Il memorandum, pubblicato in rete, è stato scaricato circa 30.000 volte, riprodotto in varie forme e commentato, letto a fondo o letto in fretta, celebrato o liquidato, osannato o crocifisso tipo rana in un museo.”

Questo dibattito va oltre ciò che NIE è, ovvero la sua personale ipotesi di lettura.  Ciò che è invece un dato di fatto, sottolinea Wu Ming, “è l’esistenza di un corpo di testi, libri scritti nella “seconda repubblica” aventi in comune elementi basilari e una natura allegorica di fondo. Se tale corpo non esistesse il memorandum non sarebbe “suonato bene” a così tante persone, né avrebbe scatenato tutto quest’ambaradàn”.

Questi elementi basilari, questa appartenenza a un momento storico e politico italiano che Wu Ming 1 individua come “seconda repubblica” sono comuni anche alla newmedia art italiana?

Le caratteristiche, che formano il ”campo di forze” esercitato da molte opere che hanno fatto la massa di New Italian Epic, è il giacimento di immagini e di riferimenti condivisi che connettono opere in apparenza difformi, ma che hanno affinità profonde. Wu Ming1 è attento a non parlare di “autori” , ma di “opere”, perché il New Italian Epic riguarda molto più le prime che i secondi.

Opere che sono “mutanti”, libri che sono indifferentemente narrativa, saggistica, prosa poetica che è giornalismo e che è memoriale che è romanzo, fiction e  non fiction, ibridi tra saggi di teoria estetica e letteraria.  Libri come Lezioni di tenebra, Cibo, I viaggi di Mel, Gomorra e Sappiano le mie parole di sangue.

L’accorpamento è definito con un gioco di parole, le iniziali di “Unidentified Narrative Object” formano la parola “UNO”; ciascuno di questi oggetti è un uno, irriducibile a categorie pre-esistenti, un numero primo.

Ecco che cosa sono gli oggetti narrativi non identificati . E gli oggetti artistici (quindi più visivi, ma sempre narrativi) non identificati cosa sono, anzi quali sono? Esiste una nebulosa artistica? Esiste un campo di forze analogo per la news madia art italiana?

Secondo Wu ming alla base di questa nebulosa visiva ci sono i Garage Media, conctto affrontato con Monico in fase di preparazione e oggetto di un workshop MDAM NABA (http://nabamediadesign.wordpress.com/2008/11/14/a-venezia-end-of-the-video/), ovvero  quella auto-legittimazione culturale di un atteggiamento spontaneo, sia tecnico che critico spinto dalla disponibilità di  videocamere, sistemi di registrazione e di editing che hanno costi sostenibili per tutti, che consentono una grande diffusione dei  ‘personal media’; le telecamere sono incorporate sia nei telefoni cellulari che personal computer e con l’arrivo del web 2.0 un grande quantità di contenuti video sono pubblicati on line. Questi materiali possono rappresentare i contenuti per una New Italian Epic per i media audiovisivi e la new media art?

Gli UNO hanno – dichiara Monico – un approccio new media alle nuove narrazioni e quindi a nuove storie, esprimono nuove sensibilità, nuovi oggetti e si rivolgono a nuovi mercati.

Lo scopo del dibattito è portare avanti la definizione del primo paradigma che parte dagli UNO e arriva all’individuazione di opere che si riverberano nella etica e estetica della New (media art) Italian Epic. Gli UNO sono visti come un tool per creare un canone di riferimento e compilare un memorandum, come ha fatto per la letteratura Wu Ming 1.

La nebulosa degli UNO della new media art ha aggregato fin da subito molta parte della scena artistica italiana, da OtheretO, [http://www.wikiartpedia.org/index.php?title=OtherehtO],  l’avatar artistico e collettivo che come nomade diventa anche opera. Oppure il lavoro del notissimo artista/paradigma  Darko Maver di  01.org. che [http://www.0100101110101101.org/home/darko_maver/index.html], come dice nella conferenza Eva Mattes è un artista che non esiste  e rappresenta un esempio di UNO, perchè come altri loro progetti, parte da una storia e non da un’immagine, da un’idea e non da un oggetto visivo. Ma i loro lavori partono soprattutto dalla “strada” e “dagli archivi”, perché hanno usato la strada come vetrina nel caso dell’azione di culture jamming Nikeground, e hanno stravolto gli archivi media con tecniche di cut up e mush up con Darko Maver, emulsionando materiale girato da altri per occupare uno spazio nuovo per l’arte che è lo spazio scenico rappresentato dai media.

Anche il documentario di Nicole Leghissa dell’esploratore della fine dell’800  Pietro Brazzà, parte dagli archivi, ma va oltre la semplice  biografia diventa qualcosa che non si limita a raccontare una storia, ma rivela una collettività. Oppure il collettivo Aut Art che con l’operazione “Anna Adamolo”  crea una reazione di attivismo che parte dalla strada e che diventa un gesto artistico, che compie azioni con un immaginario non domato. Oppure l’ultimo lavoro di Studio Azzurro che come dice Paolo Rosa è non un opera ma un’operazione. Tutti lavori che ogni volta che si applicano al narrato si modificano e diventano qualcosa d’altro dalla partenza.

Come le storie raccontate da Salvatore Iaconesi (xDxD) comprese nel suo progetto Art is Open Source, che partendo dalle strade informatiche fa dell’intelligenza artificiale un’opera anzi un virus nato nel ventre materno della rete, il bambino dal nome Ange_f (Autonomous Non Generative E-volitive Life Form); per Iaconesi UNO è anche raccontare una storia in modo nuovo, usando la potenza narrativa del fake dell’opera-festival  RomaEuropaFakeFactory (http://www.romaeuropa.org/) che deturna  falsamente un concorso targato Telecom in ciò che definisce  fare  skateboard (gli skater non vanno solo su una tavola a rotelle, ma percorrono muretti, gradini, ringhiere e scale per tracciare la loro avventura narrativa della città, sovrapponendo ala storia dell’architettura all’architettura un’altra storia) ovvero aggiungere uno strato di realtà del tutto narrativo a uno già presente, cioè raccontare storie  sovrapposte alle altre.  Questo è lo scopo della neo epica virtuale, il web ci sta abituando a storie sovrapposte , meta narrazioni, da cui segue il concetto di mutazione linguistica , narrativa. Sono Oggetti di Narrative Interstiziali, dedicate  a piccoli momenti, a spazi di tempo, che mutando cambiano la scansione del tempo e quindi le modalità del racconto.

Anche noi di Piemonte Share siamo stati invitati a dare un nostro apporto con il meta-progetto Action Sharing e l’opera Orchestra Meccanica Marinetti http://www.toshare.it/OMM/. Un esempio di Oggetto Narrativo Non Identificato che prelude alla nascita di un’epica della newmedia art. Un’opera che a partire dalla committenza e dalla produzione adotta una narrazione diversa che propone una nuova visione del rapporto tra arte, aziende altamente innovative e laboratori di ricerca sul territorio. Un’epica visivamente narrativa che riverbera significati, archetipi e linguaggi connotandoli in un ambiente culturale, che OMM contiene in sé,  allo stesso tempo umanista e tecnologico.  OMM parte dalla strada raccogliendo oggetti di scarto, come i bidoni e si ritaglia spazi che non sono propri dell’arte, come il Laboratorio Interdisciplinare di Meccatronica del Politecnico di Torino e l’azienda di robotica Prima Electronic.

Ciò implica una visione nuova dell’opera d’arte, come motore dell’innovazione e una nuova idea di mecenatismo. L’opera è fatta da ingegneri, ma il progetto è di un artista; sono state utilizzate elementi tecnologici costruiti da aziende metalmeccaniche ma sono parte di uno spettacolo unico. Il campo di forze nasce nella newmedia art, ma serve al comparto tecnologico piemontese legato alla robotica come esempio di talento produttivo locale. Inoltra Motor quando suona con OMM nagHammadi fa uso di materiali di repertorio foto e i filmati di guerra NATO (già usati in cleanUnclean).

Ecco di  questi UNO sentiremo ancora parlare, perché la sfida è stata appena lanciata.

Internet e la sicurezza dei minori

Giugno 25, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

sicurezz

Di Melina Ruberti

Si è tenuto il 12 Marzo 2009 nella Scuola Media del Ghirlandaio di Tavarnuzze il seminario sulla Sicurezza Informatica e Telematica organizzato da Istituto Formazione Franchi in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Primo Levi di Impruneta (di cui la SMS Ghirlandaio è sede distaccata)  e con il Patrocino del Comune di Impruneta.

Al seminario hanno partecipato oltre 150 persone, la sala completa con posti in piedi, rappresenta una conferma dell’interesse delle famiglie a questo tema; un grande successo con tanto di scroscianti applausi ai relatori. L’interesse cruciale sulla tematica della sicurezza dei minori è stato sottolineato dal Sindaco Ida Beneforti: «Il problema principale è di aumentare la conoscenza da parte dei genitori delle tecnologie informatiche e delle possibilità di protezione. Il modo migliore per prevenire brutte esperienze in Internet è imparare a usare gli strumenti e accompagnare sempre i propri figli durante la navigazione». Aggiunge l’Assessore alla Formazione Francesca Buccioni «Credo che i genitori siano consapevoli dei potenziali rischi ma, allo stesso tempo, inesperti nell’uso delle nuove tecnologie. Questo appuntamento nasce per togliere alcune preoccupazioni agli adulti e per fornire strumenti di base per tutelare i propri figli on-line. Da un uso consapevole della rete si può usufruire di molti vantaggi per l’apprendimento, la creatività, e la socializzazione». Una sicurezza ben precisa che l’Assessore ha rimarcato nel suo intervento di chiusura, ringraziando i relatori per il loro illuminante contributo ed i numerosi genitori presenti per l’interesse dimostrato.

L’utilizzo del computer e della rete Internet rappresenta al contempo “uno stile di pensiero”, una “modalità per comunicare e ricevere informazioni” ed una “palestra di cittadinanza” presente e futura.

Sempre più le transazioni con uffici privati e pubblici, le ricerche quotidiane e scolastiche, le richieste di documentazione, ecc… passano per l’uso della Rete.

La conoscenza informatica e la pratica quotidiana che direttamente ne conseguono offrono l’unica possibile alternativa al tanto temuto “digital divide” (il divario digitale), che condiziona le possibilità di sviluppo e di relazione tanto tra continenti e nazioni, che tra singoli individui all’interno di un medesimo contesto culturale.

Conoscere le peculiarità della comunicazione digitale è il primo passo per evitare forme evolute di analfabetismo di ritorno.

La Rete nasconde insidie, evidenzia possibilità inedite e talvolta pericolose. Tra i “netizen” (i nuovi cittadini della rete) è possibile incontrare la stessa variegata umanità che possiamo incontrare ogni giorno nel nostro vivere quotidiano e pubblico, di conseguenza ci potremmo avvantaggiarci di splendide possibilità ed al contempo ed essere assediati da numerose insidie.

Ma paure non controllate che potrebbero indurci ad allontanare i nostri figli dalla Rete Sociale più grande del mondo non sono ammissibili e penalizzano troppo lo sviluppo cognitivo per poter rendere praticabili soluzioni estreme.

Scopo dell’incontro è stato quello di far prendere conoscenza a genitori e figli delle incredibili opportunità della navigazione Internet e delle necessarie sicurezze da adottare per allontanare insidie, pericoli e contaminazioni informatiche.

Utilizzare con competenza e precisione il computer e le opportunità offerte da Internet è un diritto/dovere dal quale i ragazzi del Nuovo Millennio non possono prescindere.

I contributi che caratterizzano questo incontro intendono fornire una conoscenza di base degli strumenti analitici e di quelli che possono aiutare a controllare le numerose trappole che rendono insicuro il cammino nella grande Rete di Internet da parte dei minori.

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Relatori:

Prof. Gabriela Bartalesi – Dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo Primo Levi

Dott. Fabrizio Pecori – Psicopedagogista, Direttore Responsabile del periodico My MEDIA – Osservatorio di Cultura Digitale

Ing. Inf. Anna Liberatori – Coordinatore   didattico Istituto Formazione Franchi

Giulio Luzzi – Direttore Didattico di I2F

Dott. Francesca Buccioni – Assessore alla Formazione del Comune di Impruneta

Proximity Marketing

Giugno 25, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

Di Stefano Adami

Parte Terza

Convergenza, mobilità, wearable computing, : nei precedenti articoli abbiamo accennato ad una serie di tendenze, da tempo in voga nella tribù dei“tecnologici”, ma spesso rallentate dall’inerzia all’utilizzo o dalla scarsa usabilità. (My MEDIA n. 20/2008 e n. 11/2009)

Allora che futuro si può immaginare per il “Proximity Marketing”?

Un dato è certo: come nei fenomeni di Social Networking, anche nell’ estensione del cellulare a “valori d’uso” diversi dalla fonia, il gruppo protagonista è quello dei “digital native” (li avevamo definiti “playstation generation”, ma l’idea è la stessa).

All’interno di questo target  esistono evidentemente dei “driver”, cioè dei valori condivisi e delle motivazioni che spingono a mettere in atto comportamenti attivi.

Musica, entertainment, relazioni amicali ed affettive spingono i digital native a fare del cellulare e del computer strumenti di utilizzo quotidiano, senza particolari difficoltà, ma anzi con lo stimolo emulativo a dimostrare “chi ne sa di più”.

In una prospettiva puramente commerciale, questo è l’ambiente ideale per iniziative di Viral Marketing.

Come sul web, anche nelle comunicazioni “uno a uno” gli oggetti multimediali di successo possono essere diffusi con estrema velocità e, va ribadito, a costo zero.

E’ ragionevole prevedere poi, che anche per questa modalità di comunicazione si affermino logiche tipiche del Web 2.0.

Aumenta infatti la sensibilità ed il numero delle aziende disposte ad interloquire con la cerchia dei consumatori più attivi e “reputati”.

In altri termini, per ottenere l’accettazione e la promozione dei propri prodotti, le aziende sono disposte a dare in visione e/o a chiedere un giudizio obiettivo ad alcuni individui che, per competenza ed indipendenza, vengono interpellati e comunque considerati “fonte attendibile” da parte di altri consumatori.

Sta crescendo in questi mesi il fenomeno del “buzz-marketing” e le agenzie certificate hanno sottoscritto un codice etico stilato dall’associazione W.O.M.M.A. (Word Of Mouth Marketing Association).

Il Proximity Marketing, in questo spirito, può diventare una delle modalità di comunicazione off-line per la diffusione dei giudizi e dei riconoscimenti ai diversi marchi/prodotti disposti a mettersi in gioco

Da alcune case history già documentabili, emerge inoltre che la comunicazione di prossimità col target giovanile non si limita alla sola promozione di prodotti.

Molto interessante e meritevole, ad esempio, l’iniziativa promossa dal Comune di Reggio Emilia per l’utilizzo del Bluetooth al fine di diffondere le  informazioni relative  alle politiche giovanili e l’occupazione.

Da una logica puramente “consumeristica”, quindi, alle possibilità responsabili e civilmente progredite dei Localisation Based Services.

Ma questo focus giovanilistico significa forse che per la diffusione di questi strumenti di comunicazione occorrerà aspettare l’onda lunga della maturazione (e della “presa di potere”) degli adolescenti?

Nell’ambito dell’ Innovation Forum 2009, lo scorso marzo, oltre ad aspetti più generali e fondanti si è iniziato a parlare pubblicamente anche di “digital immigrant”.

Nella tribù del digitale quotidiano c’e’ quindi spazio anche per il gli ultra-trentenni.

Per provare ad immaginare un futuro, poi, vale la pena di riconsiderare la storia ed alcuni aspetti tecnologici (spiacente, ma al terzo articolo vi tocca).

Il protocollo Bluetooth nacque essenzialmente per connettere senza fili i tipici device informatici (computer, stampanti, scanner et similia) senza una particolare predisposizione alla comunicazione fra persone attraverso i cellulari.

Come per altre standardizzazioni nel mondo dell’ICT, nel 1996 è stato creato uno “Special Interest Group” (SIG) che annovera fra i promotori imprese multinazionali del calibro di Ericsson, Intel, Lenovo, Microsoft, Motorola, Nokia, Toshiba.

Nel corso degli anni, il SIG ha definito gli standard tecnici che i produttori avrebbero poi seguito per consentire le famigerate “economie di rete”.

Proprio in questi mesi sta per essere finalizzata la release 3.0 del protocollo, che prevede l’integrazione ai protocolli Wi-Fi ed un notevole miglioramento dell’interattività.

Si tratta, in parole povere, di un’ulteriore forma di convergenza fra tecnologie (e quindi strumenti) wireless.

Gli addetti ai lavori prevedono che i primi telefoni cellulari rispondenti al nuovo standard verranno commercializzati già per il Natale 2009.

Senza entrare troppo nei dettagli tecnici vale la pena di evidenziare due aspetti dell’evoluzione prossima ventura.

Nella sua nuova release il protocollo Bluetooth consentirebbe finalmente una vera  comunicazione bidirezionale con l’utente. Invece della sola ricezione da parte di un hot-spot, l’utente sarebbe definitivamente in grado di interloquire con l’emittente.

Ai fini delle iniziative di marketing i vantaggi sono evidenti: concorsi, couponing, richieste specifiche avrebbero il via libera.

In secondo luogo, grazie a Bluetooth 3.0, i telefoni cellulari di prossima generazione potranno garantire una connettività ad Internet molto più agevole e stabile, grazie alla convergenza con gli standard Wi-Fi (o addirittura Wi-Max).

A parte una legittima curiosità su cosa ne pensino le grandi multinazionali delle telecomunicazioni, è ragionevole ipotizzare un ulteriore cambiamento delle modalità, e soprattutto delle tariffe, di utilizzo della fonia mobile.

Per quanto riguarda lo specifico del nostro ragionamento, invece, risulterebbe notevolmente esteso il raggio d’azione della connettività gratuita e quindi della prossimità.

Il “contesto” entro il quale l’utente si troverebbe ad interagire a costo zero sarebbe comunque esteso alla portata del segnale Wi-Fi, anche nell’ipotesi di accesso limitato “localmente”.

La modalità di utilizzo, inoltre, sarebbe svincolata dalla possibilità di scambio di file di piccole dimensioni, per aprirsi al mondo delle videate web.

Viene da dire: staremo a vedere.

Troppo spesso le innovazioni vengono ritardate o impedite perché configgono con interessi economici forti e consolidati.

Il solco comunque è tracciato e le tecnologie per il miglioramento della comunicazione nell’ambito di determinate “prossimità” stanno proliferando.

Banche, agenzie immobiliari e show room di prestigiosi marchi automobilistici hanno già sperimentato iniziative di “digital signage”, e quindi di comunicazione interattiva all’interno dei punti vendita che prescindono dal’utilizzo del telefono cellulare.

Ma i dettagli, se ancora vorrete prestare attenzione, arriveranno a breve, sempre dalle colonne di My Media.

[BOX]

Risorse:

www.womma.org

Arnesano G., Viral marketing. E altre strategie di comunicazione innovativa, Franco Angeli 2007

Boaretto A., Noci G., Pini F.M., Marketing reloaded. Leve e strumenti per la co-creazione di esperienze multicanale, Il Sole 24 Ore Libri 2007

Mandelli A., Vescovi T. Le nuove frontiere del marketing digitale, ETAS 2003

SalvaConNome. Le parole chiave dell’innovazione

Giugno 25, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

Di Fabrizio Pecori

Un nuovo format televisivo per una conoscenza partecipativa all’insegna della molteplicità collaborativa dei punti di vista

Nella sezione destra del mio blog c’è un lungo elenco di categorie. Le uso quotidianamente e ad ogni viaggio ne aggiungo qualcuna; lo faccio perché lo fanno tutti ed alcuni lettori me l’hanno espressamente chiesto, ma non mi piacciono, non rispondono alla mia indole ed alla mia psicologia. Il fatto è che le considero un tradimento delle mie esperienze e persino del mondo, così come ho imparato a conoscerlo.

L’universo è intrinsecamente votato all’entropia, al disordine; è proprio questo il suo fascino! Cercare di sistematizzarlo entro gli spazi sempre troppo angusti di un lemma significa spesso dover troppo rinunciare alla sua multidimensionalità.

Non lo nego, mi affascina vedere blog e social network che espongono vanitose tagclouds al fine di far comprendere con una sola occhiata l’intento programmatico e la focalità delle discussioni, ma mi è sempre sembrato che tradiscano quella molteplicità che il mio amato Italo Calvino ci ha lasciato come testamento dell’ultima delle sue Lezioni Americane.

Ricordate l’avventura ridicola e visionaria, fragile ed inconsistente a cui Flaubert ha dedicato gran parte dei suoi anni: Bouvard e Pécuchet? E’ l’avventura  di due indimenticabili personaggi che si ripromettono di partecipare al fascino del sapere universale cercando di archiviarlo e catalogarlo e ne scoprono invece progressivamente l’inutilità: i mondi di cui cercano di espletare la logica si contraddicono l’un l’altro ed i due “ricercatori” si trasformano progressivamente in “scrivani” fino al punto che nell’incompiuto finale li troviamo rassegnatamente dediti a copiare i libri della biblioteca universale.

La catalogazione nella visione di Flaubert può essere rappresentata un po’ come il tentativo di dragare un deserto con le mani: più ti affaccendi e più la sabbia corre altrove, lascandoti il pugno vuoto. Del resto l’autore il 16 Gennaio 1853 aveva ben dichiarato in una lettera a Luoise Colet la sua ferma intenzione:  «ce que je voudrais faire, c’est un livre sur rien».

Così quando Carlo Infante mi ha invitato a seguire il ciclo di videotag (che mi piace definire intrinsecamente ipermediali) ho preso il progetto un po’ alla leggera. Ma fin dal primo ascolto del primo “lemma” di Salva con nome, la trasmissione in onda su RAINews24 e consultabile interattivamente anche all’indirizzo http://salvaconnome.blog.rainews24.it ho scoperto che il progetto curato da Carlo Infante e Roberto Mastroianni è in realtà una rete filiforme che conquista il proprio spazio di riflessione con la medesima strategia con la quale il ragno conquista mediante la sua tela spazi sempre più estesi.

In questa partitura eterogenea e lungimirante si rimane imbrigliati ed ogni “nodo”, ogni tag rimanda ad altri, talvolta ancora in corso di definizione, che prendono lo spunto per far risonare l’intera struttura conoscitiva proprio come fosse costantemente mossa dal vento inquieto della necessità di espandersi per rimandi.

Come dire: dopo Bouvard e Péchuchet, dopo Calvino, nella Conoscenza collettiva, il modello di sapere non può più essere quello di ispirazione Illuminista della Paideia Enkyklios, ovvero ciclica, chiusa entro i propri limiti.

Organizzata secondo la logica del multi-stakeholderism, ovvero la logica della scrittura ai tempi del Web 2.0 che sostiene “la molteplicità di punti di vista” come una strategia che consente “un allargamento dell’orizzonte interpretativo dei fatti”, SalvaConNome si articola su due format: la conversazione in studio (20′ settimanali) e le videotag (1min. di videoritratti, al giorno, che lanciano le tag, le parole chiave dell’innovazione).  Alle quali si aggiunge un gruppo di discussione omonimo su Facebook, nato nell’intento di raccogliere commenti e promuovere forme di confronto volte ad arricchire la neonata SocialPaideia.

Web 3.0 Conference Expo

Giugno 25, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

Di Francesco Fumelli

Il 16 e 17 ottobre a Santa Clara in California si è tenuta la prima conferenza interamente dedicata al Web 3.0. Ebbene si, avete letto bene,avevamo appena finito di parlare del web 2.0 ed ecco spuntare una nuova definizione.

http://www.web3event.com/index.php

In effetti, nel mondo di internet, tali terminologie nascono e muoiono con una certa frequenza. Non tutte hanno reali presupposti e l’affermazione o meno di queste dipende in realtà per la gran parte dalla loro capacità di essere effettivamente distinguibili e sostenute, riconosciute e riconoscibili.

Il caso del Web 2.0 – del web come piattaforma sociale – è uno di quei casi nei quali l’affermazione del termine è stata senz’altro legata alla autorevolezza della fonte che la ha coniata (il noto giornalista/saggista americano Tim O’really) e alla sua rapida divulgazione a tappeto (di blog in blog) ma soprattutto alla possibilità di identificare sul web una miriade di servizi rispondenti in tutto o in parte a tale definizione.

Nel caso del Web 3.0 la storia è simile. Anche se più recente, la definizione non è nuovissima e risale al febbraio 2007.Il termine è stato utilizzato da Sramana Mitra http://www.sramanamitra.com ed è stato ampliato nelle specifiche e definizioni tecniche da Tim Barnes-Leee dal W3C consortium.

Sramana Mitra; indiana naturalizzata statunitense, scrive su Forbes ed è una grande esperta di comunicazione e nuove tecnologie. Ha fondato 3 aziende nel settore internet in California ed il suo blog è veramente molto interessante per chiunque desideri avviare o gestire al meglio una impresa (non solo Internet) o avviarne una. Ma anche per chi semplicemente si interessi dei legami tra marketing, comunicazione ed internet.

Tim Barners-Lee, inglese, è colui che ha “inventato” e realizzato il  world wide web. Era pressappoco la fine degli anni 80 e Barners-Lee lavorava presso il CERN a Ginevra.

Utilizzando un computer “NextCube” progettò e strutturò l’accesso informatico ai documenti del centro di ricerche, proprio definendo un primo modello di rete basato sull’architettura client-server e su quelli che sono poi divenuti i protocolli propri di internet. I documenti venivano interconnessi tra loro (e resi disponibili) tramite link ipertestuali per mezzo del linguaggio HTML.

Oggi Barners-Lee è presidente del W3C consortium. W3C è un organismo nato dalla collaborazionedel MIT (MassachussetInstituteofTechnlogy) ed il CERN. W3C nasce con lo scopo di elaborare e migliorare i protocolli esistenti e gli standard per il WWW e di aiutare il Web a sviluppare tutte le sue potenzialità.

Come si vede da questa breve introduzione, anche il termine Web 3.0 nasce con ottime credenziali.

Il web 3.0

Tornando alla definizione del termine è interessante cominciare leggendo il programma della “round table” citata in apertura e tenutasi a Santa Clara:

* MonetizationImplicationsof Web 3.0 (Semantic Advertising, etc.)

* Product Marketing, Key Biz Strategies

* SemanticStartup 101 – Successes, challenges, strategicdecisions

* From Web 2.0 to 3.0 – Talesfrom the Trenches

* OpportunityCostsof ODBC and relational data models

* KnowledgeDiscoveryfromsemantic metadata

* SemanticSearch&ServicesDemos

Leggendo il programma emergono già alcunisuggerimenti che possono aiutarci a comprendere meglio l’ambito.E’ evidente ad esempio come ricorra spesso la parola “semantic” che è in effetti la chiave della definizione di Web 3.0.

Il Web 3.0 è il”semantic Web” o web semantico. Nella definizione principale riportata su Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Web_semantico

si intende per Web Semantico la trasformazione del World Wide Web in un ambiente dove i documenti pubblicati (pagine HTML, file, immagini, e così via) siano associati ad informazioni e dati (metadati) che ne specifichino il contesto semantico in un formato adatto all’interrogazione, all’interpretazione e, più in generale, all’elaborazione automatica. Con l’interpretazione del contenuto dei documenti che il Web Semantico permette, saranno possibili ricerche molto più evolute delle attuali basate sulla presenza nel documento di parole chiave, nonchè altre operazioni specialistiche come la costruzione di reti di relazioni e connessioni tra documenti secondo logiche più elaborate del semplice link ipertestuale.

Il web semantico è quindi il web che permette una organizzazione delle informazioni sviluppata con una logica descrittiva diversa.

Alla base del Web semantico si trova appunto il modo di strutturare i documenti. L’evoluzione del web in web semantico inizia infatti con la definizione – da parte del W3Cdello standard ResourceDescriptionFramework (RDF). RDF è una particolare applicazione di XML che standardizza la definizione delle relazioni tra informazioni, ispirandosi ai principi della logica dei predicati (http://it.wikipedia.org/wiki/Logica_dei_predicati) e ricorrendo agli strumenti tipici del Web (ad es. URI) e dell’XML (namespace).

Ovviamente questo tipo di trattazione ci porterebbe su un piano esclusivamente tecnico, che esula dallo scopo divulgativo di questo articolo. Si può dire che Il web, come si presenta oggi, richiede strumenti di lavoro più progrediti per facilitare e velocizzare la navigazione attraverso gli innumerevoli documenti pubblicati. Il web semantico propone diversi sistemi di archiviazione, relazione e ricerca.

Internet è un grande insieme di informazioni, un “oceano” di documenti che descrivono dei contenuti. Questi documenti possono richiamarsi l’uno con l’altro, in modo semplice e immediatoed il link ipertestuale è l’elemento chiave che l’ HTML di Tim Barners-Lee ha saputo proporre. Oggi tuttavia questa struttura comincia a mostrare i suoi limiti.

L’utente e le informazioni sul WWW

Il comportamento dell’utentequando si muove “a caccia di informazioni” in rete è dovuto principalmente a due fattori distinti: La sua esperienza di navigazione, cioè la classificazione di siti e portali che la sua precedente esperienza di navigazione gli insegna e la capacità di aiutarsi nel reperire in rete informazioni utilizzando la ricerca assistita per parole o espressioni chiave.

Questa seconda modalità richiede l’utilizzo di software (motori di ricerca) capaci di reperire su web le informazioni, selezionandole tramite appositi algoritmi ed in accordo con le parole chiave inserite dall’utente.

La capacità funzionale di questi sistemiautomatici dipende dalla applicazione stessa e dalla capacità (esperienza) dell’utente nell’individuare frasi e keyword specifiche e non ambigue. Utilizzando un motore di ricerca quindi l’utente inserisce una data frase o parola nella speranza che il software del motore di ricerca possa individuare – nel modo più efficace possibile – il contenuto cercato.

Navigando manualmente dentro un sito web (ad esempio muovendosi tra le varie voci di un menu gerarchico) l’utente dovrà stabilire quale espressione, frase, etichetta testuale o grafica si adatti meglio a individuare il contenuto da lui desiderato.

Nel caso della ricerca assistita (mediata dal motore e dal suo software) l’efficacia dell’operazione dipende dagli algoritmi che il motore di ricerca utilizza per estrarre contenuti. Nel secondo caso l’efficacia dipende dalla capacità di chi ha strutturato e reso espliciti i contenuti, i link e la struttura del sito. In entrambe le situazioni l’utente è costretto a delle scelte – mediate dalla sua esperienza – che possono avere un rapporto generico con il contenuto ricercato.

Qualsiasi ricerca è ad esempio sempre soggetta al rischio della ambiguità. Cercando la parola “ponte” è possibile trovare contenuti legati ad architettura, ingegneria, ortodonzia ed anche nautica.

Nel caso di un menu di navigazione,la genericità è data dalla struttura dell’indice che si trova a dover raccogliere contenuti vari.

Internet è come abbiamo detto un insieme di informazioni collegate tra loro, il fatto è che questi collegamenti sono molto spesso deboli e generici.

il web semantico ed il futuro del WWW

Per il futuro, il web semantico propone di dare un senso alle pagine web ed ai collegamenti ipertestuali, dando la possibilità di cercare solo ciò che è realmente richiesto. Con il Semantic Web possiamo aggiungere alle pagine un senso compiuto, un significato che si spinga oltre le informazioni scritte. Una sorta di “personalità” dell’informazione che può aiutare un motore di ricerca predisposto ad individuare ciò che stiamo cercando più semplicemente, scartando tutti i risultati che non soddisfano la richiesta.

Tutto questo non grazie a sistemi di intelligenza artificiale, ma semplicemente in virtù di una estesa “marcatura” dei documenti, con un linguaggio gestibile da tutte le applicazioni e con l’introduzione di vocabolari specifici – ossia insiemi di frasi – alle quali possano associarsi relazioni stabilite fra elementi marcati.

Il web semantico per funzionare deve poter disporre di informazione strutturata e di regole di deduzione per gestirle questa struttura. Proprio Tim Berners-Lee ha sottolineato che se si vuole un sistema dinamico, in grado di raffinarsi e funzionare su scala universale, bisognerà pagare il prezzo di una certa dose di incoerenza.

Conclusione

Ecco in poche parole il riassunto del concetto di Web 3.0:

Software e tecniche di indicizzazione che permettono di organizzare la grande quantità di informazioni presenti su Web in un modo strutturato, dove ricerche ed associazioni di contenuti possano seguire anche strade automatiche. Molto lavoro è attualmente in corso per estendere le possibilità del web semantico applicando l’idea degli agenti semantici intelligenti (programmi in grado di esplorare il web ed interagire autonomamente con i sistemi informatici per ricercare informazioni).

Il mezzo per raggiungere questo obiettivo dipende dallo schema strutturale definito. Lo schema (si pensi ad XML) è un insieme di regole che stabiliscono come debbano essere organizzati i dati. Lo schema definisce anche le relazioni fra i dati e per questo è in grado di creare e gestire vincoli che “avvicinino” o “allontanino” classi di dati.

L’idea del web 3.0 nasce per estensione dell’idea di utilizzare questi schemi per descrivere domini di informazioni. Un dominio deve essere descritto da un particolare schema. Dei metadati devono associare i dati rispetto a diverse classi (o concetti) di questo schema di dominio. In questo modo è possibile disporre di strutture in grado di descrivere e automatizzare i collegamenti esistenti fra i dati.

Il sistema prevede tre livelli di base. Al livello più basso abbiamo i dati, i metadati riportano questi dati ai concetti di uno schema e nello schema (chiamato ontologia) si esprimono le relazioni fra concetti, che diventano classi di dati.http://it.wikipedia.org/wiki/Ontologia

Esempi pratici di web 3.0

Tutto questo esiste ancora esclusivamente in teoria. Tuttavia alcuni tentativi in ambiti definiti, sono presenti ed importanti.

http://www.opencalais.com/

Principi del web semantico applicati alla ricerca ed aggregazione di informazioni. Sito molto interessante a livello concettuale.

http://quintura.com/

Motore di ricerca semantico. Basato sul sistema dei “tagclouds” (nuvola di tag).

http://www.twine.com

Aggregatore di informazioni basate sul profilo e sulle informazioni pubblicate dall’utente stesso. Molto interessante per reperire informazioni tematiche e seguire e sviluppare aree di interesse. Twinerecupera per l’utente le informazioni che sono di suo interesse, in accordo con i dati che l’utente pubblica.

Pensare al web come ad una infrastruttura regolata nel suo complesso da una struttura semantica significa disegnare una prospettiva incerta, quantomeno nel medio periodo. Si tratta di una tecnologia ancora ad uno stato embrionale, ma con presupposti e sviluppi senza dubbio di sicuro interesse.

Bibliografia e webgrafia

Tim Berners-Lee, L’architettura del nuovo Web, Feltrinelli, Milano, 2002

Tim Berners-Lee, The Semantic Web, in «Scientific American», maggio 2001

Tim Berners-Lee: Semantic Web is open for business: http://blogs.zdnet.com/semantic-web/?p=105

Sarmatha Mitra: Web 3.0 – http://www.sramanamitra.com/2007/02/14/web-30-4c-p-vs/

Oggi, secondo il nostro Art Director

Giugno 24, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

24 Giugno


Bizantina in concerto. Presentazione dell’album di Irma Records “Orlando Tarantato” tratto dall’omonimo musical e poi… tutti a vedere i “Fochi di San Giovanni” dalla terrazza della Limonaia, a Firenze ovviamente!

Orchestra Meccanica Marinetti plays Nag Hammadi

Giugno 23, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

omm

motor è un artista digitale già noto ai lettori di MyMedia per i suoi progetti legati a intelligenza artificiale e letteratura, per numerose installazioni e  performance multimediali; in questa intervista, di Fabrizio Pecori, motor ci racconta del suo nuovo progetto, questa volta nell’ambito della performance robotica;

Fabrizio Pecori: ciao motor, raccontaci qualcosa dell’Orchestra Meccanica Marinetti (ne abbiamo già parlato nel numero precedente nella intervista a Simona Lodi parlando del metaprogetto Action Sharing (www.toshare.it)) questa volta da un punto di vista artistico e realizzativo.

motor – OMM è appunto una orchestra, il cui “organico” è composto da macchine e performer, che interagiscono sulla scena. Quello che mi interessava, quando proposi il progetto ad Action Sharing, era uscire dal virtuale di molta arte digitale. Sembrava che tutto iniziasse e finisse su uno schermo. Mi piaceva l’idea di tornare sul palco con la fisicità sia del performer che delle macchine stesse.

Vedi nel momento in cui tutti sembrano osannare il web 2.0, vorrei ricordare loro che questo approccio vorrebbe ridurre l’identità a flussi di informazioni digitali (tra l’altro in genere di assoluta proprietà dei vari Facebook e mySpace: in pratica firmate la vostra servitù digitale per poche pagine web colorate …Happiness in slavery, diceva quell’allegrone di trent Reznor…).

O progetti come lo Human Genome Project, che porta molti a concludere che la nostra identità sia sostanzialmente definita dal DNA, confondendo genotipo e fenotipo.

Vedi , se questo approccio si limitasse (?) a classificarci tutti come set di dati per futuri sfruttamenti commerciali e politici potrei anche chiudere un occhio … ma se la stessa teoria la applichiamo poi con le azioni di guerra comincio a nutrire fortissimi dubbi.

Non sono certo un luddista del virtuale, ma credo esista una ideologia gnostica del digitale su cui riflettere, che vorrebbe portarci a pensare che la fisicità sia sostanzialmente solo un peso, un limite. Io credo invece nella intelligenza dei corpi e dei metalli .

E poi come musicista volevo degli strumenti che muovessero realmente l’aria. Volevo macchine che mostrassero la loro forza. Motori elettromeccanici e attuatori, acciaio e cinghie. In fondo mi piace l’odore delle officine … ma anche l’humming delle macchine elettriche… Una sorta di Tambours du Bronx elettromeccanici.

Mi interessava anche esplorare l’aspetto del gesto nella musica. Vedi, non è poi così difficile piazzare qualche sensore sul corpo e usarne il segnale per far partire un suono o un filmato. Il punto è trovare delle relazioni tra il tuo movimento o la tua postura, che siano significative anche per il pubblico. In fondo anche se a volume spento tu capisci molto dai gesti di un pianista o di un chitarrista.

in questi casi però la relazione con il gesto nasce dallo strumento stesso e dal suo uso; nel caso di uno esoscheletro invece la relazione è tutta da definire , sembrerebbe non esserci alcuna tradizione.

In realtà ci sono, forse non ancora codificate, delle relazioni leggibili. Quando apro le braccia verso il pubblico e lancio i cori, il gesto è da un lato di semplice controllo dello strumento (quali e quante voci vengono generate), dall’altro è un gesto leggibile e coerente. Uno dei miei sforzi è nel cercare queste relazioni tra gesto, corpo e significato.

Fabrizio Pecori:a che punto siete con lo sviluppo dell’orchestra?

– quando uscirà questo articolo dovremmo avere finito la messa a punto dei prototipi di robot e dello show control system (vedi pagine seguenti). Lo scopo è aggiungere maggiore controllo ed espressività al tutto; inoltre stiamo lavorando al primo spettacolo di OMM, Nag Hammadi. Naturalmente speriamo che il forte interesse che si è generato attorno al progetto spinga i nostri sponsor a aiutarci ancora generosamente …

In ogni caso OMM è un laboratorio, anche didattico, aperto alle proposte.

Naturalmente, essendo una orchestra ci aspettiamo che possa “suonare” in contesti e occasioni diverse. Amo l’idea di vedere i robot suonare anche in piazza, di fronte a un pubblico di non soli addetti ai lavori.

FABRIZIO PECORI: parliamo ora di Nag Hammadi, che sarà il primo vero spettacolo completo di OMM.

di che si tratta? che nesso c’è tra gli antichi manoscritti gnostici di Nag Hammadi e la tua ricerca?

In realtà c’è un legame profondo tra scienza, tecnologia e gnosticismo, non è certo una mia scoperta. Techgnosis di Erik Davies descrive bene questo tema ; le stesse mitologie hacker sono impregnate di gnosticismo. Pensa solo ai miti della onnipotenza degli hacker più bravi nella rete, onnipotenza legata in sostanza alla loro conoscenza, alla loro gnosi, che li pone al di sopra degli altri, quasi come divinità.

O al disprezzo del corpo, che viene sentito come un limite, da superare, da abbandonare.

O semplicemente alla volontà prometeica di buona parte della scienza degli ultimi due millenni, spesso condotta da una volontà di conoscenza prossima alla ribellione verso la divinità. La Chiesa non temeva tanto le scoperte scientifiche in sè (anche se per secoli le tecnologie furono considerati studi di interesse minore) quanto la ribellione in sè.

Dunque occorre ripartire a riflettere sulla tecnologia e quindi sulla definizione di umano: un buon punto di partenza erano questi manoscriiti del 3 secolo dopo Cristo, che per quanto eretici, hanno comunque segnato il punto di partenza di un percorso rizomatico lungo cui si sono svolti scienza e tecnologia negli ultimi secoli.

Credo che la relazione tra il Divino e la Tecnologia sia stata abbastanza trascurata nelle riflessioni teoriche, anche se è facile trovarne le traccie nelle varie rappresentazioni, nella letteratura, nei film e più in generale nelle mitologie del digitale.

Dunque è naturale per OMM cantare il testo di Thunder Perfect Mind, ma non c’è solo questo: uno dei brani dello spettacolo è tratto dal Credo di J.G. Ballard, scandito da speech synthesizer su un tappeto di Moog … e altro materiale deriva dal mio progetto precedente cleanUnclean.

Nel brano tratto da cleanUnclean la relazione tra umano e tecnologia, tra armi di comunicazione di massa e reti elettroniche viene esplorata nel brano cleanUnclean, messa in scena di una apocalisse imminente non più sotto lo sguardo di Dio, ma sotto il controllo dei sensori dei sistemi di sorveglianza globale, dove dunque ai cori angelici non possono che sostituirsi cori digitali post umani, voci granularizzate e digitalizzate.

E così via …

Stiamo anche preparando dei workshop: l’idea è di portarli in giro in parallelo agli spettacoli stessi (se qualcuno è interessato può semplicemente contattare Share Festival); insieme useremo il web per mettere a disposizione informazioni e codice.

motor

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bibliografia:

Techgnosis. Miti, magia e misticismo nell’era dell’informazione di Davis Erik, 2001, Ipermedium Libri

Representations of the Posthuman: Aliens and Others in Popular Culture (Manchester Studies in Religion) di Elaine Graham

Guerra e cinema-logistica della percezione di  Paul Virilio ed. Lindau

La guerra nell’era delle macchine intelligenti di Manuel De Landa ed.Feltrinelli

Midi for the Professional di Paul D. Lehrman

Apocalisse di S.Giovanni: super apocalypsim musica, di Gianni Garrera, ed Diabasis

link:

www.orchestrameccanicamarinetti.it

www.toshare.it

www.cycling74.com

www.sonalog.com

www.processing.org

www.lim.polito.it

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HOW TO DO A ROBOT ORCHESTRA IN FEW SIMPLE STEPS!

L’uso della robotica nelle arti e nello spettacolo ha dato luogo a differenti approcci ed ha portato a risultati spesso sorprendenti.

Non c’è lo spazio in quest’articolo per tracciare una storia di tutti questi progetti, ma come minimo vorrei almeno ricordare i miei preferiti, come i lavori di Marcel Lì Antunez, di Mark Pauline (Survival Research Laboratory), Eric Singer o di Suguru Goto, verso cui tutti sono debitore.

Detto questo vorrei portarvi per un attimo nel back stage dell’Orchestra Meccanica Marinetti e raccontarvi come l’abbiamo costruita. Sottolineo il plurale, perchè è stato un entusiasmante lavoro di squadra, anche quando la tensione saliva, la gente premeva alle porte e c’era ancora qualche cavo da collegare o qualche batteria da sostituire immediatamente…

La prima ipotesi che feci fu di considerare i robot come dei “comuni” strumenti MIDI, in modo da poterli integrare facilmente con i miei ambienti musicali già esistenti.

Il concept iniziale dei robot fu concepito da Marco Ricci e Giorgio Arduino ( Associazione Robotica Piemonte) : si dice che l’ing Arduino sia stato visto nel porto di Genova percuotere duramente bidoni d’acciao per trovare la soluzione… ma anche al nel Laboratorio di Meccatronica (LIM) c’erano dei percussionisti (umani) che hanno contribuito con la loro esperienza.

L’idea fu quindi di simulare un colpo come un batterista umano, con un polso meccanico.

In seguito il Laboratorio di Meccatronica ha sviluppato questa intuizione, riprogettandola, modellandola attraverso le simulazioni virtuali e realizzando alla fine i prototipi, usando una tecnica simile a quella già da loro usata per un progetto per lo spazio.

Un altro punto interesante di OMM è l’uso dell’esoscheletro Gypsy, un controller MIDI prodotto dalla Sonalog, per controllare l’esecuzione della partitura.

Per motivi di affidabilità e costi abbiamo scelto come standard di comunicazione il collaudato MIDI via cavo

OMM è composta da più moduli comunicanti. I due sistemi principali sono quello robotico e quello dello show control system (SCS). (specification diagrams 01.PNG).

Lo SCS ha il compito di cordinare e controllare lo spettacolo, attraverso il playback delle partiture e degli algoritmi o gli input dai controller esterni (come l’esoscheletro  o altre interfacce MIDI). I movimenti del performer vengono tracciati tramite l’esoscheletro, trasmessi via MIDI allo SCS che dopo averli elaborati li passa poi ad altri codici, che possono generare sequenze di note o di immagini e mandare messaggi ad altri apparati esterni, come le luci (via DMX 512) o i robot (via MIDI).

Vediamo un esempio pratico: un brano prevede l’esecuzione di un ritmo molto semplice, tipo battere il colpo ad ogni quarto.

Questo pattern viene scritto in forma MIDI (ad esempio all’interno di Ableton Live odi MaxMSP). Le note MIDI vengono quindi inviate ad una patch MaxMSP che dopo aver elaborato ulteriormente il dato (si tratta pur sempre di robot da 150 kg, non synth virtuali!), sempre via MIDI trasmette il messaggio ai robot, che eseguono.

Nello stesso momento il movimento delle braccia viene trasmesso dall’esoscheletro allo show control system (sotto forma di MIDI continuous controller messages).

Lo SCS filtra i dati e calcola le dinamiche e genera   attraverso algoritmi flussi di note, che sono poi eseguite da un campionatore virtuale.

L’algoritmo in questione sceglie le note da generare in base ad una serie di regole (su quali ottave, su quali scale, densità di note e probabilità che le note cambino), definite in una patch MaxMSP

Il Lim (in particolare Andrea Tonoli, Andrea Festini, Fabrizio Impinna e Lester Suarez Cabrera) ha concepito e dato forma alla versione attuale dei prototipi.

I robot sono costituiti (semplificando) da una struttura portante in acciaio, su cui sono poste in modo simmetrico due slitte, mosse da potenti motori elettrici. Le slitte servono per muovere i polsi che a loro volta porteranno le mazze di legno a contatto per un istante (ma molto velocemente!) con il bidone di acciaio.

Il polso è stata la parte più critica da concepire, perchè deve essere in grado di dare una sorta di colpo di frusta sul tamburo, ma poi deve alzarsi per lasciare che il tamburo stesso vibri (e quindi suoni!). Questo avviene attraverso un gioco di smorzamenti.

In ogni caso il movimento stesso delle braccia dei robot impiega una certa quantità di tempo, dunque il sitema deve tenerne conto e anticipare i colpi quanto basta per restare in sincrono con il resto della musica. Su questa parte specifica c’è addirittura in corso una tesi di laurea, Corrado Scanavino,  al lavoro per estendere bonk un progetto di Miller Puckette sul riconoscimento di suoni percussivi ed applicarlo ai robot

A tutto questo poi aggiungete la scenografia di Chiara Garibaldi, la preproduzione di parte dei video da parte di Visual-eyes e il controllo live degli altri flussi di immagini, la gestione delle luci e del suono …

questo per darvi una idea di quanto impegno e passione stiamo mettendo su questo progetto!

mini glossario:

MIDI:MIDI (Musical Instrument Digital Interface) protocollo standard per l’interazione degli strumenti musicali elettronici

DMX 512 : DMX (Digital MultipleX), è un protocollo di comunicazione usato per il controllo dell’illuminazione di scena per controllare da computer

SCS : show control system

RCS: robot control system

La poetica dell’ibrido di Karin Andersen

Giugno 23, 2009 By: admin2 Category: Senza categoria

hibernate

Di Silvana Vassallo

La celebre mostra Post Human realizzata dal critico Jeffrey Deitch nel 1992 ha posto al centro della riflessione dell’arte contemporanea il tema di una ridefinizione identitaria dell’umano. Nel testo critico che accompagnava la mostra, con grande lungimiranza Deitch aveva sottolineato come: “L’informatica con la sua sempre più fitta realizzazione di realtà virtuale e la biotecnologia, con lo straordinario potenziale insito nell’ingegneria genetica stanno per creare un nuovo ambiente nel quale la maggior parte dei nostri convincimenti su cosa sia la realtà e soprattutto su cosa sia la vita dovranno necessariamente essere ridiscussi. La combinazione di questi due sistemi tecnologici creerà non solo nuove forme di vita e nuovi canali di comunicazione ma determinerà nuovi modi di percepire il tempo  e lo spazio e condurrà addirittura a nuove strutture di pensiero”. Sulla scia di simili riflessioni, le figure dell’ibrido e del mutante non hanno cessato di esercitare a livello estetico una potente attrazione, sollecitando innumerevoli artisti- tra i più famosi Stelarc, Orlan, Matthew Barney, Mike Kelley, Cindy Sherman, Daniel Lee – ad elaborare complesse metafore visive di uno scenario contemporaneo postumano avvertito come fluido e inquietante.

Nel panorama italiano, il lavoro di Karin Andersen in questa direzione è particolarmente interessante. Da sempre il tema dell’ibrido è al centro della sua produzione artistica, sia a livello stilistico che di poetica. Mescolando media tradizionali – fotografia, video, grafica, animazione – con tecnologie digitali di elaborazione delle immagini, l’artista ha sviluppato un suo personalissimo immaginario visivo, fatto di intrecci e di contaminazioni tra l’umano, l’animale e l’alieno.

Di origine tedesca ma bolognese d’adozione, Karin Andersen si è affermata nel mondo dell’arte soprattutto attraverso la produzione di foto digitali, in cui fantasiose creature umanoidi si muovono con grande naturalezza in spazi architettoinci, navicelle spaziali, paesaggi urbani oppure naturalistici.

Nel percorso artistico di Karin Andersen l’interesse per la fotografia emerge molto presto, verso la fine della sua formazione in Accademia, e sin da subito si traduce in sperimentazioni con tecniche miste, di intervento pittorico su stampe fotografiche: “avevo scoperto che la fotografia mi poteva dare un certo risultato che con la pittura o il disegno non potevo avere, ovvero un rapporto più immediato con il reale, però non volevo neanche rinunciare ad una dimensione più concettuale e surreale, e quindi ho cominciato a metterci le mani con la pittura”. Il passaggio al digitale è stato un processo naturale, in quanto consentiva una maggiore possibilità di manipolare le immagini e di integrare sfondi e personaggi derivanti da contesti diversi, amplificando notevolmente le possibilità combinatorie. Il ciclo di lavori A trip to Lanimin Paloo, presentati nel 2002 in una personale a Milano presso la galleria Cannaviello, sin dal titolo allude al gioco combinatorio: “Lanimin Paloo” è anagramma di Milano e Napoli, le due città da cui sono stati prelevati i  suggestivi “set” architettonici (la Galleria Vittorio Emanuele di Milano e la metropolitana Salvatore Rosa a Napoli) che fanno da sfondo a volteggianti creature insettoidi, creando una dimensione spiazzante e fantascientifica. Tecnicamente questi lavori combinano elaborazioni delle immagini con Photoshop con  interventi pittorici ad acrilico, eseguiti dopo la stampa su tela. Progressivamente  l’artista, pur non abbandonando mai completamente le pratiche pittoriche, nella realizzazione delle opere fotografiche ha sostituito la pittura con l’elaborazione digitale, divenuta sempre più sofisticata e in grado di simulare gli effetti desiderati. Nel suo libro Digital art, la studiosa di nuovi media Christiane Paul sottolinea come l’accresciuta possibilità di manipolazione delle immagini consentita dalle tecnologie digitali attivi nuovi modi di mescolarle e montarle, tendenti ad eliminare qualsiasi forma evidente di sutura: “Le tecnologie digitali aggiungono una dimensione addizionale agli assemblaggi e ai collage, poiché elementi disparati possono essere fusi più omogeneamente, focalizzandosi su una “nuova” forma di realtà simulata piuttosto che sulla giustapposizione di componenti con una distinta storia spaziale o temporale. I collages e le composizioni digitali spesso comportano uno spostamento dall’evidenziazione dei confini  alla loro cancellazione”. Questa estetica della cancellazione dei confini e della simulazione perfetta è perseguita da molti artisti che lavorano  nell’ambito delle fotografie digitali, ed è evidente soprattutto in ambito pubblicitario. Ci sono tuttavia altre possibilità di intervento in cui la mescolanza tra manipolazione digitale e “tracce di reale” produce scarti, effetti dissonanti, ed è in questa direzione che si muove la sperimentazione artistica di Karin Andersen. Nelle sue foto digitali i “trucchi”, gli “effetti speciali” sono volutamente esibiti, il reale e il fantastico coesistono ma non si dissolvono mai completamente l’uno nell’altro, l’obiettivo non è il raggiungimento di una esasperata levigatezza formale, semmai quello di scompaginare in maniera  ludica e irriverente le regole del gioco, secondo un’estetica per così dire “low-budget”, da “Z-movies” (termine che l’artista ha usato ironicamente come titolo di una sua personale svoltasi a San Marino nel 2006). Nella stessa direzione di contaminazioni visive che producono cortocircuiti  tra reale e immaginario si inseriscono anche tutta una serie di lavori dove figure disegnate al computer con la tavolozza grafica si sovrappongono ad immagini fotografiche. Tali figure, simili a personaggi di fumetti, si presentano come sagome piatte che interagiscono con l’ambiente fotografato per assonanze coloristiche o semantiche, svelate talvolta dai titoli, che hanno sempre un ruolo importante nel lavoro di Karin Andersen, rappresentando una sorta di prolungamento linguistico delle sue pratiche ludiche-combintorie.

Di fatto, la cifra stilistica che contraddistingue l’estetica di Karin Andersen veicola un pensiero estremamente articolato sulle tematiche dell’ibrido; la sua poetica è volta a smascherare una visione rigidamente antropocentrica, che assolutizza la separazione tra umano e animale, tra natura e cultura. I suoi personaggi alieni e umanoidi  non si presentano né come esseri minacciosi e distruttivi né come creature angeliche e idealizzate, ma sono raffigurati in atteggiamenti, posture e comportamenti “normali”:  – leggono, dormono, passeggiano, giocano, socializzano – ribaltando in tal modo stereotipi consolidati sui concetti di alterità e diversità. L’interesse di Karin Andersen per l’ibrido si nutre di una idiosincratica attrazione per il mondo animale e per le complesse dinamiche – istintive, inconsce, strumentali, cognitive, affettive – che l’uomo stabilisce con esso. Non a caso su queste tematiche l’artista ha scritto un interessante libro Animal Appeal. Uno studio sul teriomorfismo, assieme all’epistemologo e studioso di scienze biologiche Roberto Marchesini dove si sottolinea come l’evoluzione culturale e identitaria dell’uomo si sia sviluppata non in opposizione, ma partire da un rapporto privilegiato ed imprescindibile con l’alterità animale.

L’estetica post-human ci ha abituati alla prefigurazione di scenari apocalittici, oscillando tra i poli opposti dell’esaltazione oppure della condanna di una hybris umana  potenziata da protesi tecnologiche o da manipolazioni genetiche, che sembra voler sfidare ogni senso del limite. Pur muovendosi nell’ambito di tali problematiche, da cui del resto al giorno d’oggi è impossibile prescindere, la poetica dell’ibrido di Karin Andersen sposta l’accento sulle dinamiche di scambio  tra gli esseri umani e gli altri esseri viventi, e su ciò che di positivo e di creativo può scaturire dal confronto con forme di alterità che in fondo fanno parte di noi e ci parlano di noi, e che ci possono aiutare ad accettare i nostri limiti di “creature imperfette”.