Archive for Giugno, 2009
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Ancora una nuova e diversa occasione per collaborare alla crescita del nostro Osservatorio di Cultura Digitale con la libertà e l’immediatezza di Fabebook.
Un pensionato realizza il sogno che certamente ha tormentato ciascuno di noi
La notizia viene direttamente dal Corriere della Sera, e denuncia come un pensionato portato alla esasperazione dalle imprescindibili bizze di un computer che si ostina a non funzionare abbia deciso di passare alla esecuzione capitale tramita la fidata calibro 22 (immediatamente sequestrata).
Alice in Brandland e il viaggio nel Paese della Marca
Di Lilit Boninsegni
Che cos’è la marca, e a cosa serve?
L’obiettivo del progetto Alice in Brandland è di dar vita a nuovi modelli di comunicazione di marca adattabili ai più svariati contesti, proprio perché nati a partire da contaminazioni fra vari settori della società.
Oggi viviamo nel Paese della Marca, e la marca, intesa in senso lato, arriva ovunque (pensate alla vostra vita quotidiana).
Da qui l’idea di utilizzare le potenzialità contenute in questo antico mezzo di comunicazione per produrre idee utili allo sviluppo della società e del nostro futuro.
In questo progetto sono coinvolti principalmente i “giovani”, che hanno ottime conoscenze ma ancora un occhio ingenuo verso il mondo. Soprattutto, i giovani costruiranno il futuro.
Alice in Brandland si definisce Osservatorio Libero sulla Marca, perché si avvale di un metodo semplice e solido: l’osservazione del mondo.
La fase zero, in cui ci troviamo, è quella di raccogliere idee, pensieri e riflessioni di ragazzi appartenenti ai più svariati settori sul tema della marca nel loro ambito, attraverso interviste e contributi personali dei volontari. E di inserire queste osservazioni in un contenitore virtuale che ad oggi è il blog www.aliceinbrandland.wordpress.com.
Alice in Brandland tenta di raccontare il mondo reale come se fossimo tutti trasportati in una lunga narrazione, creando un parallelo fra fiaba e fatti. Creando dei personaggi a partire dalle persone reali e istituendo una modalità di accesso a Brandland, in parte reale in parte espediente narrativo: ad ogni persona che Alice incontra nel paese fantastico dove si svolge il viaggio nel mondo dei Consumi lei consegna una tessera di entrata in Brandland.
Nella realtà i ragazzi vengono intervistati – e quindi risvegliati – su certi temi relativi ai consumi e alla marca, e ad inizio intervista viene consegnata loro una carta dal mazzo di Alice in Wonderland, rappresentante una scena della fiaba, assieme ad un bigliettino personalizzato contenente alcuni concetti su cui riflettere durante l’intervista.
L’intervista è aperta a tutti, si svolge in un tono informale e rilassato, cerca di aprire le porte alla vita di tutti i giorni, per poter riportare successivamente questo lungo racconto in una sorta di libro vivente che si costruisce sotto i nostri occhi, dentro la rete, su Alice in Brandland.
Una volta avuto accesso al Paese della Marca, i ragazzi potranno continuare a vivere la loro esistenza di sempre, magari con un occhio più attento ai meccanismi che stanno alla base del mondo in cui si trovano.
Le interviste seguiranno alcuni livelli di approfondimento e la stessa persona potrà essere intervistata a cicli ripetuti più volte nel tempo e dare anche un proprio contributo che verrà inserito sul sito firmato dall’autore.
In futuro questi contributi verranno integrati con quelli di “esperti in materia”, persone che nei vari settori della società operano da tempo. Essi potranno funzionare anche da guida – per la ricerca delle giuste domande – per i ragazzi dell’Osservatorio.
L’occasione di lancio del progetto avverrà alla Triennale di Milano, luogo storico di promozione proprio della cultura del progetto intesa in senso molto ampio. Un’istituzione come Triennale aprirà le porte ad un progetto costruito interamente da persone sotto i 30 anni, mettendo a disposizione i propri saloni e anche alcune attrezzature. Ad Alice in Brandland spetterà invece la parte organizzativa.
L’evento si costruirà come un dialogo aperto e interattivo fra i giovani intervistati e gli esperti in materia che verranno invitati. In particolare verranno coinvolti esponenti della nostra società particolarmente sensibili a queste tematiche e aperti ai giovani. Verrà allestito un percorso propedeutico e conoscitivo, per permettere anche al pubblico di immergersi in Brandland e nei temi affrontati durante l’incontro. Il fine dell’iniziativa sarà di raccogliere le “giuste domande” che i ragazzi dell’Osservatorio potranno continuare ad indagare in futuro. Anche il pubblico avrà parte integrante. L’incontro sarà in calendario nella stagione 2008/2009, in date ancora da definirsi.
Il titolo dell’incontro sarà “La marca nel tempo dell’incertezza, dialoghi sui consumi, la società e la comunicazione nel futuro che cambia”.
Web cinema
Di Luca Barbeni
Entropy8zuper
Wirefire nasce nel 1999 dal duo Entropy8Zuper, che crea uno strumento ad hoc per gestire immagini e suoni in tempo reale su internet. Wirefire è stato un progetto molto ambizioso e ai tempi
particolarmente innovativo.
Entropy8Zuper! è costituito da Michael Samyn e Auriea Harvey, che conosciutosi in rete si sono uniti nella vita e nel lavoro.
Sul sito web http://www.entropy8zuper.org/wirefire ogni giovedì sera a mezzanotte GMT+1 era possibile assistere alla performance collaborativa di questi due artisti, che utilizzando una applicazione creata appositamente erano in grado di montare immagini e suoni in tempo reale su internet. Questa applicazione combina Flash, Actionscript, xml sockets, Swift Generator e Perl. Bisogna ricordare che si era nel 1999 e in tutti gli spettatori di queste performance vi era un senso di magia e stupore nell’assistere a questi video astratti creati in tempo reale. Come le prime macchine di luce per le immagini in movimento alla fine dell’Ottocento hanno prima di tutto stupito l’uomo, così questo progetto viveva soprattutto sulla percezione emotiva di assistere a uno spettacolo audiovisivo su internet realizzato in tempo reale.
Molto importante a questo riguardo è stata la scelta degli autori di utilizzare webcam. È uno dei pochi progetti audiovisuali in rete che abbiano utilizzato le webcam a livello creativo. Il fatto di poter vedere che gli autori erano realmente presenti in quel momento, davanti al loro computer in Belgio, creava un’emozione molto forte. Su internet poter verificare la presenza di un’altra persona dall’altre parte del canale è un vettore emotivo molto forte, il web è prima di tutto comunicazione e co-presenza.
WIREFIRE
Autore: Entropy8Zuper!
Paese di provenienza: Stati Uniti/Belgio
Lancio su Internet: 2004
sito web: http://www.entropy8zuper.org/wirefire
software per l’immagine: Adobe Photoshop, Quicktime, webcam
software per il montaggio: Flash
Quest’opera è costituita da uno strumento per raccontare delle storie in rete. Non esisteva una drammaturgia fissa, ma a seconda delle emozioni e dello stato d’animo dei creatori la risultante audiovisuale era differente.
Wirefire era costituito da due sezioni, una pubblica e una di
amministrazione.
La sezione pubblica era la parte del progetto che veniva mostrata in rete ogni giovedì sera al momento della performance. Questa parte era aperta al pubblico.
La sezione di amministrazione era lo strumento che Michael e Auriea utilizzavano per realizzare questa performance. Gli autori hanno creato uno strumento costituito da una griglia di video e suoni che potevano essere selezionati e “proiettati” sullo spazio pubblicodel web in tempo reale. Sia Michael Samyn che Auriea Harvey si sono in un secondo momento personalizzati i rispettivi strumenti software per la gestione delle immagini e dei suoni.
Questo progetto aveva anche una chat attraverso la quale gli autori dialogavano con gli spettatori, creando un feedback diretto tra artista e pubblico che influenzava anche il risultato della performance.
Quest’opera a livello di struttura ricorda le dinamiche dei cantori omerici o della commedia dell’arte, dove i cantori/attori, dopo aver raccolto il pubblico intorno a sé, intorno al fuoco, intorno al loro carro, iniziavano a declamare storie costituite da moduli unitari che ogni sera venivano
montati con un diverso ordine, a seconda dello stato d’animo del declamatore e della risposta del pubblico. Così Michael Samyn e Auriea Harvey ogni giovedì sera raccoglievano intorno al fuoco del ventunesimo secolo, lo schermo di un computer collegato con altri schermi, un pubblico eterogeneo e globale, che interagendo con loro concorreva nella realizzazione di quella specifica performance.
Wirefire è un collage audiovisuale, che mostra tutti gli stili grafici presenti sul web all’epoca. Riprendendo la tipica estetica dada dell’accostamento randomico e immediato di immagini e suoni,
quest’opera stupisce nella sua eterogeneità e allo stesso tempo unità dello stile.
Differenziandosi dalla classica grafica vettoriale o minimale del web dei primi anni, Michael e Auriea hanno sempre lavorato molto con le immagini bitmap.
Altra cifra della loro opera e in particolare di questo progetto è l’utilizzo di differenti livelli, sia visivi che sonori. L’immagine è composita, multilivello, eppure sempre secondo uno schema preciso: uno sfondo, sia visivo che sonoro, stabilisce l’atmosfera generale della scena, che viene lentamente popolata di piccoli elementi visivi come mani, fiori, bocche e soprattutto le webcam con Michael e Auriea che si spostano sullo schermo.
Intervista
LB: Wirefire è costituito da una parte pubblica e una di amministrazione, potresti dirmi qualcosa riguardo alla seconda, riguardo a come è fatto questo strumento per gestire immagini e suoni?
AH: La nostra interfaccia nella prima versione era completamente personalizzata. I bottoni erano piccoli frutti, fiori, teschi e altro ancora, e c’era una linea dove noi potevamo scrivere un testo da stampare on-line.
Ognuno di noi due venne a capo dell’interfaccia attraverso un’organizzazione tematica per selezionare i vari suoni e le immagini. Per me la divisione era soprattutto legata alle parti del corpo (occhi, orecchie, bocche, mani), mentre l’interfaccia di Michael era molto più caotica con una rappresentazione simbolica di vari elementi.
Nella seconda versione l’interfaccia di questo strumento è diventata più complessa; poiché la tecnologia si era evoluta anche noi la seguimmo e imparammo alcune cose nuove, per esempio non avevamo più bisogno di legare ogni immagine a un file, ma potevamo far cercare file di immagini e suoni dallo strumento sul nostro server. Così l’interfaccia è diventata maggiormente basata sul testo e più flessibile, con diverse novità per mixare immagini e suoni.
LB: All’epoca ho trovato Wirefire molto innovativo, pensate che possa avere ulteriori sviluppi in futuro questa strada?
AH: Mi fa piacere che tu dica questo riguardo al progetto. Abbiamo deciso di fare questa performance una volta alla settimana, per molto tempo, poiché sentivamo il bisogno di farlo per noi e di condividere questa emozione con il pubblico. Queste performance erano molto intime e il pubblico connesso on-line aveva la possibilità di inserire i propri bit all’interno della nostra performance attraverso le loro poesie e commenti. Ogni performance era tematica e unica. È stato un momento unico per la cultura della rete.
A un certo punto abbiamo deciso di smettere anche perché abbiamo iniziato a pensare che internet fosse cambiato e non per il verso migliore. A questo proposito non pensiamo che questo tipo di spettacolo audiovisuale possa avere un futuro on-line. Ha avuto un passato, magari potrebbe avere un presente di qualche tipo, ma di sicuro non un futuro. Gli artisti e il pubblico hanno perso l’occasione di costruire una relazione in un luogo come nessun altro. Sentiamo come la gente non desideri più di credere che internet possa essere un luogo magico o uno spazio per la fantasia. Almeno per Wirefire era un contesto necessario.
LB: Penso che Wirefire sia una testimonianza d’amore tra voi due e verso le possibilità espressive in rete, cosa ne pensi a riguardo?
AH: Sì!!!
Gordon Matta Clark
Di Melina Ruberti
Una retrospettiva dedicata al celebre anarchitetto
Con l’occasione del trasferimento delle attività del Centro Arte Contemporanea di Siena dal Palazzo delle Papesse al polo museale di Santa Maria della Scala il centro ospita la retrospettiva Gordon Matta Clark. La mostra aprirà il 6 Giugno e terminerà il 19 Ottobre ed è curata da Lorenzo Fusi e Marco Pierini in collaborazione con l’estate dell’artista. Si tratta del più grande evento espositivo Italiano dedicato all’anarchitetto Matta Clark e uno dei più importanti fra quelli realizzati in Europa attraverso il quale ci si propone di ricostruire la parabola della sua variegata e feconda carriera che ha spaziato fra i linguaggi e i mezzi espressivi più diversi a partire dalla fine degli anni Sessanta fino alla sua prematura scomparsa nel 1978. Il percorso, pur rispettando un andamento cronologico, si articola principalmente per aree tematiche e gruppi di opere. L’apertura è affidata a Garbage Wall (1970), muro costruito con materiali di riscarto e spazzatura che, nelle intenzioni dell’artista, doveva essere un modulo edilizio di facile realizzazione e a costo zero, offerto in risposta alle esigenze dei senzatetto di fronte al fallimento delle politiche dell’edilizia popolare nella città simbolo del capitalismo occidentale, ovvero New York. I primi interventi di Matta Clark avvengono proprio in quelli che saranno poi definiti “non luoghi”, come cortili derelitti, discariche o i piers newyorchesi, all’epoca luoghi malfamati. L’esperienza di Gordon Matta Clark segna l’ evento della coscienza e della consapevolezza ecologica nell’arte (come in Fresh Air Cart del 1972, performance in cui l’artista offriva gratuitamente ossigeno e riposo ai pedoni affaticati dal traffico cittadino) e nel suo intersecarsi con la Land Art di Robert Smithson, inizia a indagare i processi antropici, soffermandosi principalmente sui cambiamenti nel tessuto urbano e sulle trasformazioni delle anarchitetture delle città. L’idea della continua trasformazione della natura si unisce, poi, a quella dell’artista-alchimista. Matta Clark è colui che permette alla materia di evolversi, passare da uno stato all’altro: ed è così che le bottiglie e i vetri trovati per strada vengono accumulati per tonalità di colore e rifusi in blocchi da usare per dare vita a nuove murature. Al complesso di Santa Maria della Scala verranno ricostruite queste esperienze e ricreata l’atmosfera della Soho di quegli anni, grazie a opere di capitale importanza come la serie Reality Properties: Fake Estates (1973) che documenta l’acquisto da parte dell’artista di ben quindici proprietà nel Queens. A completare la mostra è la filmografia pressoché completa dell’artista (che include video, filmati in super 8 e 16 mm) intorno alla quale è stato pensato il percorso espositivo.
GLOCAL 2.0, il progetto di performing media di Comunanze.net
Di Fabio Ragonese
Un hub per l’innovazione territoriale picena
Dall’1 al 3 giugno si è svolto Glocal 2.0, seconda edizione dell’evento di performing media sulla creatività sociale delle reti e l’interaction design, centrato sulla particolarità territoriale del Piceno.
Quest’anno la manifestazione promossa da Comunanze.net è stata integrata al festival Saggi Paesaggi che nell’arco di due mesi ha reso il territorio palcoscenico diffuso di mostre, spettacoli e concerti.
Glocal 2.0 ne ha rappresentato il momento di maggior espressione della vivacità culturale del territorio, sviluppando una relazione diretta con i workshop residenziali realizzati nel maggio 2008 a Montelparo, Monteleone e Servigliano, nell’ambito della sezione Paesaggi Umani.
Rispetto a quella dell’anno scorso tutta concentrata alla Cartiera Papale di Ascoli Piceno questa edizione di Glocal, è stata itinerante, coinvolgendo più luoghi (ben 3: uno costiero, il Borgo di Marano, uno montano, l’Agriturismo Piantabete nei pressi di Comunanza ed uno urbano ad Ascoli) incontrando le comunità locali e sperimentando particolari soluzioni innovative per “giocare” con il paesaggio.
L’immagine simbolo della manifestazione, la pianta di una mano che accoglie una mappa urbana, suggerisce appunto l’idea di un territorio che si specchia nelle relazioni e nei percorsi umani che lo circoscrivono, proprio come gli incroci e le vie di una città.
L’obiettivo dichiarato è quello di consolidarsi nel tempo come appuntamento di riferimento per associazioni, operatori culturali, imprese creative ed enti locali che desiderano armonizzare le tradizioni del territorio con l’innovazione dei nuovi media interattivi e partecipativi.
Attraverso Comunanze.net, l’associazione culturale nata nel 2007 (dopo due anni di attività con il progetto Arte/Scienza/Pace) s’intende, in prospettiva, creare una piattaforma collaborativa nel web che possa svolgere la funzione di hub per progetti e strumenti operativi per l’innovazione territoriale.
Un progetto di social networking aperto a tutti i soggetti che operano nel Piceno, sia nell’ambito dell’iniziativa culturale, sia in quello delle politiche sociali, per favorire la realizzazione, attraverso le pratiche collaborative di Internet, di un ecosistema di iniziativa pubblica.
Non solo, la finalità di Glocal è racchiusa anche nel suo titolo, con il quale si esplicita l’opportunità di proporre tematiche globali in un contesto locale ed avviare sperimentazioni sulla nuova creatività sociale delle reti, sia in termini di auto-organizzazione che di comunicazione propriamente detta.. Questo progetto punta ad utilizzare la rete come veicolo, sia di forme sia di contenuti, in cui la comunità locale possa riconoscersi e da questa consapevolezza arrivi ad interagire con un contesto globale di comunicazione pubblica, misurandosi con un futuro che è già qui.
La prima giornata ha tratto spunto dalla rievocazione di un happening che anticipò nel 1978 l’era culturale della multimedialità: Il Treno di John Cage, riedito a Bologna in occasione del suo trentennale.
Un riferimento pertinente all’attività sui paesaggi sonori che s’era già svolta a maggio con i workshop, per rilanciare il valore creativo ed attivo dell’ascolto, ricollegandolo all’etica “user generated content“: ovvero come l’utente di Internet si fa produttore di contenuti nell’atto stesso della fruizione delle informazioni, così come avviene per l’ascolto. Per le colline marchigiane, a partire dal mare, s’è così mosso il “pellegrinaggio per autoradio”, con uno start dalla stazione di Grottammare per arrivare allo splendido borgo di Marano in compagnia delle voci e dei suoni di Arteria Community che in collaborazione con Radio Aut, hanno proposto un format radiofonico in movimento e che ha permesso di “ascoltare” il paesaggio piceno che scorreva fuori dai finestrini, incalzati da SMS che oltre alle istruzioni per l’uso trasmettevano sollecitazioni poetiche come questa: “Noi non sistemiamo le cose in un ordine, facilitiamo i processi affinchè tutto possa accadere (John Cage)”.
La seconda giornata ha offerto un’esperienza molto coinvolgente per chi già conosce la storia delle Comunanze Picene: un trekking teatrale radioguidato diretto da Koinè, intitolato La Sibilla delle Comunanze. Sostanzialmente, si è assistito alla rievocazione di antichi gesti e suoni legati ai mestieri tipici tradizionali (lo scalpellino, il boscaiolo, il pastore… ) e alle storie delle comunanze picene, in compagnia dei protagonisti della vita contadina e della montagna appenninica, evocando lo spirito femminile della Sibilla. L’azione si è poi conclusa con una degustazione teatrale radioguidata di pecorino locale e Rosso Piceno, molto immersiva (in cuffia il pecorino minacciava gli ascoltatori-degustatori di esperienze ai confini della realtà sensoriale…).
Un’altra particolarità di questa giornata (purtroppo rovinata dalla pioggia) è stata quella di raccogliere delle erbe buone da mangiare, con alcuni esperti, innervando a questa pratica naturale l’input artificiale di messaggi spediti via bluetooth con le immagini e i nomi in latino delle erbe da raccogliere.
La terza giornata, svoltasi interamente alla Cartiera Papale di Ascoli Piceno, è stata incentrata sulla presentazione di progetti innovativi sul fronte della creatività sociale, dello sviluppo sostenibile e della promozione del territorio attraverso i nuovi media interattivi.
In particolar modo è stata presentata in forma prototipale, con l’intervento d’interaction design di Massimo Cittadini e Antonio Rollo, la Casa Sonora, un museo multimediale in cui si raccoglieranno suoni, racconti popolari, interviste, i “paesaggi umani” del territorio piceno, da rendere aggiornabili dagli utenti stessi che la useranno. Il progetto di Casa Sonora ha anche come fine quello di recuperare e valorizzare, con progetti condivisi e partecipati con gli enti, le associazioni, le università e in particolare l’Accademia di Belle Arti di Macerata, quelle strutture ed edifici rurali portatori di valore storico e antropologico del Piceno. La casa sonora si svilupperà in modalità interattiva attraverso diversi ambienti (stanze sonore) dove gli utenti saranno direttamente chiamati a contribuire fattivamente nella produzione e nella ricerca dei contenuti.
Sulla piattaforma di Social Networking è stata focalizzata invece la discussione del pomeriggio di quest’ultima giornata di convegno-evento, caratterizzato dall’uso interattivo, durante lo svolgimento della discussione, del blog partecipativo.
Con questo progetto Comunanze.net intende nei prossimi mesi farsi portatrice di un valore aggiunto d’innovazione politica e poetica, fatto di nuovi format collaborativi, per raccogliere e sviluppare le migliori progettualità del territorio, coinvolgendo in modo sistematico le nuove generazioni.
Per questo si prevede l’attuazione di workshop in parte curate dal neonato Performing Media Lab del Piceno (dopo quelli già realizzati in Salento, Valdarno e Torino) e, ovviamente, il brainstorming continuo nel blog www.comunanze.net.
Delicate Boundaries
Di Simona Lodi
Intervista a Christine Sugrue vincitrice di Share Prize 2008 con Delicate Boundaries
Microrganismi di luce bianca si lasciano attirare dalle mani del pubblico e condurre lontano dal loro ambiente naturale (un semplice schermo LCD): una piccola magia fa cadere nell’illusione fantastica di avere una relazione personale con la tecnologia.
Frutto di una condizione che si crea quando la tecnologia fa un passo indietro e si mimetizza con gli oggetti, i piccoli insetti fatti di luce di Delicate Boundaries di Christine Sugrue si spingono fuori dallo schermo per stabilire un contatto con gli spettatori. Mentre i due sistemi (virtuale e reale) cercano di capirsi, nello spazio dell’installazione si crea una nuova storia di responsabilità, intimità e confine fra irrealtà e concretezza fisica. I confini tra due mondi sono tanto più delicati quanto più il nostro contatto con la tecnologia ci sorprende bisognosi dell’incanto della magia piuttosto che di una spiegazione razionale. Stare al gioco è immediato. Entrare nel magico mondo di Christine è naturale, ma anche inquietante.
Queste cimici digitali spesso sorprendono il pubblico perché si lasciano alle spalle la loro esistenza virtuale… e iniziano a esplorare le mani e i corpi delle persone figurando una sottile minaccia. Si tratta quasi di un’infezione che chi è stato contaminato vuole trasmettere a qualcun altro immediatamente, riflette una poetica dell’artista americana basata sul “social network” della trasmissione virale e sull’impercettibile giuntura tra reale e il virtuale. Le cimici di Delicate Boundaries di Christine Sugrue sono il risultato di un modo specifico di progettare quelle tecnologie che si integrano sempre più nella vita di tutti i giorni proprio degli artisti digitali. Così l’uso di video telecamere, di sensori di movimento a infrarossi, di un proiettore digitale, dà potere all’illusione del gioco e un nuovo mondo viene alla luce.
Questa installazione interattiva utilizza il corpo come un’estensione dell’ecosistema digitale che viene abitato da una folla di insetti. Per mezzo di un proiettore montato nello spazio dell’installazione uno sciame si muove in modo naturale. Quando il sistema rileva una presenza-pubblico le creature passano dallo schermo sul corpo umano, generando un’intimità causata dal trasferimento dei bug virtuali in base al comportamento reale del corpo nello spazio. L’installazione evoca un’accoglienza al posto della tradizionale rottura tra il reale e il virtuale. Accoglienza che porta ad un apprendimento e ad un apprezzamento, trasformando il comportamento di entità artificiali in ritualistiche visioni.
D.: Quando e come è nata l’istallazione che ha vinto Share Prize 2008?
R.: Ho iniziato a lavorare a Delicate Boundaries nel 2007 mentre ero al Eyebeam1 a New York come borsista. Il primo prototipo lo completai a Madrid come parte del workshop “Interactivos?” . L’argomento del workshop era Magia e Tecnologia così l’idea per questo lavoro calzava a pennello. In lavori precedenti avevo usato tecnologie simili per creare un’interazione con il corpo umano. Un altro lavoro era frutto dello studio sul movimento degli occhi umani per creare un’interazione come le immagini che reagivano quando erano guardate. In un progetto su cui ho lavorato per l’artista Klauss Obermair2, ho usato il video per tracciare i movimenti di un ballerino in tempo reale. Così ho potuto pensare con anticipo a come la tecnologia può essere usata per esplorare nuove interazioni con il corpo umano e avere esperienza con molti strumenti che poi ho usato in Delicate Boundaries. Nel mio processo di sviluppo di Delicate Boundaries mi è stato subito chiaro che proiettare immagini sulle persone nello spazio di un’istallazione avrebbe potuto creare una relazione davvero intima con l’opera. La sfida era che io volevo che il pubblico si sentisse come se stesse influenzando la proiezione o che si trattasse di qualcosa di fisico e non solo che il corpo fosse una mera superficie su cui proiettare. Così stavo già pensando a come avrei potuto cambiare la percezione di qualcosa di digitale.
Dopo alcuni grandi input ricevuti da un collega decisi di provare a creare l’illusione che elementi propri di uno spazio virtuale (lo schermo del computer) potessero attraversare lo spazio stesso per entrare nel mondo fisico (il corpo umano). L’opera si sviluppò da lì e gli insetti ne completarono la narrativa. Volevo che il lavoro coinvolgesse il pubblico per la sensazione giocosa ma che anche fosse anche inquietante. Mi piace che il pubblico possa trovare della magia nel lavoro, ma anche mettere in dubbio che cosa sta veramente accadendo dietro le quinte, dato che nessuno vuole che degli insetti gli brulichino addosso anche se sono digitali.
D.: Quindi magia e tecnologia… Secondo te il pubblico predilige la magia e cerca l’intimità con la tecnologia?
R.: Credo che sia raro trovare delle esperienze personali o intime con la tecnologia. Ci sono certo design individualizzati nei cellulari e nelle homepage personalizzate, ma non credo che il nostro coinvolgimento quotidiano con gli spazi digitali abbia una componente di intimità o un rapporto personale. Non sono così sicura che abbiamo bisogno o desideriamo queste qualità nella tecnologia, ma credo alla fine sia un’area interessante da esplorare. Magia e tecnologia sono andati mano nella mano per molto tempo, ma sono riuscita veramente a capire l’importanza della disciplina della magia solo da quando ho avuto l’opportunità di ascoltare e imparare da chi la pratica alla conferenza a Madrid lo scorso anno. Interattività significa spesso creare le illusioni per invitare a giocare o permettere al tuo pubblico di credere in un mondo che tu hai creato. I maghi sembrano essere esperti nel farlo.
D.: A cosa stai lavorando adesso? Hai un nuovo progetto?
R.: Al momento sto viaggiando abbastanza, ma anche lavorando ad un nuovo progetto.
Ho una performance audiovisiva imminente con l’artista e musicista neozelandese Damian Stewart3. Questo lavoro è un gioco da tavolo immaginario dove due performer iniziano a rivelare un mondo nascosto che viene alla luce per mezzo di un augmented-video. Sto anche sviluppando alcune nuove idee per installazioni che esplorano concetti simili a Delicate boundaries come indagare la potenzialità del tocco umano in spazi virtuali.
Biografia
Christine Sugrue è un’artista, un’ interaction designer e una creativa tecnologica. Ha lavorato come ricercatrice all’Ars Electronica Futurelab di Linz. A Torino ha vinto Share Prize 20084 con l’opera Delicate Boundaries5
[NOTE]
1. Eyebeam è un centro d’arte e tecnologia per la ricerca e la sperimentazione con sede a New York. http://eyebeam.org/
2. http://www.exile.at/sacre/
3. Aka Frey – http://frey.co.nz/
4. http://www.toshare.it
5. http://www.csugrue.com/
Trame pittoriche
Di Ilaria Moretti
L’opera della giovanissima Elisabetta Brignoli
Elisabetta Brignoli è nata a Bergamo nel 1984. Si laurea presso il Politecnico di Milano, specializzandosi nell’indirizzo di disegno industriale settore moda con il massimo dei voti. Dopo numerosi concorsi internazionali di fotografia, pittura, arte e moda, continua la sua ricerca artistica presso la Galleria d’Arte Wunderkammer di Bergamo. Filo conduttore della sua ricerca è l’indagine del segno che segue una via personalissima e raffinata, mai ripetitiva, nello scontro tra l’estetica visuale dell’abito e l’inclinazione melanconica della vita. Al centro del suo percorso è l’unione armonica del linguaggio moda – inteso nella più ampia accezione di abito, scarpa, accessorio prezioso – e la crisi quotidiana del soggetto, il vuoto e il silenzio dell’io, la gioia trattenuta, gli attimi di rimpianto. Le sue opere seguono il ritmo del tempo, hanno la straordinaria capacità di mutarsi e di rinnovarsi. Come nei momenti inconclusi del quotidiano, così la sua ricerca, in perpetuo divenire, pone interrogativi continui. La capacità di risoluzione è nel linguaggio che si raffina tra l’artista e lo spettatore, una necessitata presenza che affonda le radici nel misterico dell’oggi,che trova nella comunicazione muta tra soggetti il senso di tutto il suo pensiero.
Ascolta
Olio su tela – 150x110cm
Ecco, questa donna, incatenata a se stessa, senza la reale possibilità di parlare/baciare/respirare, di esprimere la sua verità, comunica come può: il trucco rovesciato e l’assenza d’abito, gli occhi liquidi che si confondono con la porcellana della pelle. Lei è chiusa nella campana di vetro, ma è una gabbia tetra auto-imposta: nessuno le ha fermato la bocca con un bavero, un pezzo di scotch, una mano che le impedisce la parola. si auto-esclude in un mutismo terribile, ma trova un’altra via alla comunicazione: lo sguardo. Gli occhi non sempre si fanno portatori di veridicità, al contrario di ciò che si dice: le lacrime mentono, solo le pupille sono sincere. Non inganna l’espressione, non c’è attore, criminale abbastanza abile dall’eludere la soggettività, l’intensità di uno sguardo.
Questo quadro porta in sé una grande verità: le possibilità d’arrivare all’altro non sempre sono dirette, talvolta per ostacoli che il soggetto si crea, talvolta perché impossibilitati da uno spinoso blocco fisico (timidezze, ignoranza, scarsa stima), ma che il cuore della vita, l’emozione – la fiammella – trova sempre un modo, una crepa nel terreno (“Il varco che non era necessario” scriveva Montale) per fuoriuscire.
Come è vero che la realtà, il tutto vero, prima o poi esplode dirompente.
Elisabetta Brignoli è riuscita nell’intento difficile di rappresentare la strada verso la comunicazione.
Il quadro porta titolo Ascolta. Una voce che rompe il buio, da dove venga poi, quello è il mistero. Forse l’abbiamo udita, forse qualcuno l’ha pronunciata realmente. Forse era un sogno, abbiamo soltanto immaginato e l’alba ci riporterà nelle bassezze zitte che ci corrispondono troppo spesso. Chi lo sa. Compito dell’uomo è davvero la ricerca del reale. Con ogni mezzo, tenacemente.
Il tradimento di cera
Pastello su tavola – 120x60cm
Lei non c’è, esiste parzialmente. E’ uno scorcio di verità il suo, ma attraversato da una frattura nel viso, non si percepisce l’espressione,la postura del corpo richiama un senso di impotenza. Come nel ricevere una cattiva notizia, uno spavento, s’accusa il colpo nello stomaco, nella zona del plesso solare. La testa cede la sua postura eretta, la schiena s’abbandona.
Dietro? Nulla.
Il mondo chiaro dove lei è momentaneamente inscritta sta bruciando, è già bruciato. Le linee scure che l’attraversano, di sangue raffermo? Di buio? Di inconosciuto?
Sul lato posteriore, nella zona più a sinistra, la struttura geometrica del proprio paese, il richiamo all’esistenza reale, al mondo che esiste, che si struttura, ma che nell’istante della rappresentazione non appartiene più. Con il proprio microcosmo l’uomo si crede in un “a parte” che esula dal resto, dal mondo vero, quello che fa da contorno. E’ lo scarto tra la sensazione intima che si prova e la proiezione nel fuori. In questi casi il mondo sta solo nel chiaro, perché la notizia o il dolore o la sorpresa non sono in grado di comunicare con il resto. Il dragone è la nobiltà ancestrale e terrena delle proprie origini. Si dovrebbe riuscire a eliminare lo scarto, è il solo modo per ripartire, per far impedire alle scaglie impazzite del proprio passato di annichilire i giorni futuri.
Perché la cera? Perché ha il prodigio di bruciare (come l’immagine di lei) ma la speranza di rinascere sotto una forma nuova, colata, bollente; che non si getta via, che può trovare una nuova strada in cui avere senso. Tradire non necessariamente per un uomo, ma anche se stessi: il tradimento è la debolezza e la fragilità, la deviazione ad una giusta causa. Possiamo recuperare i frammenti (i tasselli della sua figura, assemblati, tenuti insieme eppure lì lì per scollarsi) e trovare un punto di comunione con l’oro e il nero, croce e delizia dell’esistenza.
C’è tutto un pezzo di mondo: la fragilità e il suo mistero.
Lo specchio
Fotografia digitale
La fotografia che cattura l’istante dell’individuo, diviene qui uno straniamento da incubo. Una bambola di porcellana scartata dal giocattolaio, incattivita dalla polvere di un vecchio magazzino che l’ha vista abbandonata a se stessa. La bambola, giocattolo sicuro dell’infanzia, assume lo sguardo storto dei sogni peggiori. È l’umanità abbandonata a se stessa, il volto scavato e impenetrabile della solitudine. La fotografia va oltre se stessa: se il reale è l’oggetto da cui trae nutrimento, troviamo qui la necessità di uno sguardo più lungo, che si profila attraverso lo spirito interiore dell’uomo. Come il passatempo dei ricchi signori ottocenteschi era passeggiare per le strade osservando il mondo muoversi o rallentare, così la macchina fotografica diviene uno strumento analitico di presa sulla vita. Nelle meschinità del quotidiano possiamo altresì scorgere una purezza antica. Gli abiti della donna bambola richiamano alle corolle delle dalie innocenti, ma la linea cupa delle labbra, la perdita della vista, gli occhi impossibili, sottolineano l’alienazione, la distanza.
Il potere evocato dall’immagine è come un gioco che si faceva da bambini: guardare una nuvola per prolungare in lei una forma inventata. Osservare gli occhi dell’amico per scoprirne i sentimenti. Così è l’obiettivo: fotografare non solo la vita, ma anche la malcelata esistenza che gli spettri-uomini portano nelle spalle e sugli occhi. Difficile contraddizione del nostro oggi.